Il regista de “La macchinazione” ci racconta il film che vuole fare finalmente luce sul delitto del grande intellettuale, compreso il coinvolgimento della P2.
Per parlare de La macchinazione, il film di David Grieco dedicato agli ultimi mesi di vita di Pier Paolo Pasolini, è necessaria una premessa che vi racconteremo in forma di un aneddoto incentrato sul pressbook. Parliamo della cartella stampa con informazioni e note di regia fornita come sempre a cronisti e critici per prepararli alla visione del film. Ebbene, raramente capita di appassionarsi così tanto solo sfogliando quelle pagine, in cui il regista ha voluto inserire una cronistoria della vera e propria persecuzione mediatica e politica del grande intellettuale, con una ricostruzione dettagliata di tutte le tappe che hanno portato al suo assassinio e a quei fatidici mesi descritti nel film.
Questo per dire che La macchinazione, interpretato da un Massimo Ranieri incredibilmente somigliante, non è da valutare soltanto in base ai classici parametri di una recensione, poiché ciò che colpisce in esso è soprattutto la volontà di fare chiarezza su tanti aspetti cruciali di questo triste pezzo di Storia italiana. Prima di tutto sulla dinamica dell’omicidio, che le indagini dei decenni successivi hanno provato essere ben più di una semplice notte di sesso andata male. Fondamentale però è anche il collegamento dell’assassinio con Petrolio e con la velata denuncia rivolta tramite quelle pagine da Pasolini a Eugenio Cefis, un personaggio oscuro dell’industria italiana legato anche alla fondazione della P2. Ma la chiarezza riguarda anche la complessità del pensiero di questo grande personaggio, che in tempi non sospetti già prevedeva la progressiva perdita di senso e di “pietà” del nostro contemporaneo, così come mostra un grezzo ma molto ben piazzato flash-forward (o visione, che dir si voglia) di un futuro abitato da masse spersonalizzate, trasformate in una disumana sequela di numeri.
Come nasce l’esigenza di realizzare oggi un film su Pier Paolo Pasolini?
L’esigenza ce l’ho da 40 anni, solo che speravo lo facesse qualcun altro. Invece mi sono guardato intorno, ho visto che non c’era rimasto più nessuno e ho pensato: stai a vedere che tocca proprio a me? La molla però è stata la mancata collaborazione con Abel Ferrara. Dovevo scrivere il suo film ma non ci siamo trovati per niente. Ora dopo tutto quello che ho passato mi sento anche di ringraziarlo per avermi dato la spinta necessaria a cominciare il progetto.
La scelta è caduta subito su Massimo Ranieri?
Immediatamente. Ancora prima di cominciare a scrivere il film l’ho chiamato e gli ho detto: “Se tu lo fai, allora lo scrivo”. Non avevo alcuna intenzione di fare un casting per cercare Pasolini o di prendere un attore straniero. Lui mi ha risposto che lo voleva fare ma era intimorito, e dato che anch’io avevo paura gli ho suggerito che forse questo era il carburante migliore per imbarcarsi in un’opera così ambiziosa e folle.
Cosa manca di più all’Italia, oggi, di Pasolini?
Beh, Pasolini stesso. Intellettuali così non ce ne sono più nemmeno all’estero: in quegli anni ce n’erano in Francia e anche in Germania e noi avevamo Pier Paolo. Ma questo lo sanno benissimo anche i giovani che oggi leggono le sue opere e lo capiscono molto meglio di quanto lo capivamo noi all’epoca. Perfino io che ero suo amico lo consideravo un rompiscatole e perciò gli contestavo tutto, come fanno i figli con i padri. Dopo 40 anni quello che lui vedeva arrivare è arrivato, eccome, quindi non c’è neppure più bisogno di ulteriori spiegazioni.
Parliamo della ricostruzione del delitto: nel film tiri in ballo anche la Banda della Magliana, i servizi segreti, la stessa industria del cinema con una precisione che non lascia spazio al “non detto”.
Ho voluto chiamare le cose per nome. Non volevo fare un film “fighetto” perché Pasolini non me l’avrebbe perdonato e perché, in generale, non è nel mio impulso. Ho cercato di ricostruire ciò che Pasolini è stato, quello che gli hanno fatto e soprattutto perché gliel’hanno fatto, non tanto per la mia generazione ma per quelle più giovani. Perché bisogna ricominciare a parlare di lui.
Nonostante tutte le prove emerse nel corso degli anni c’è ancora chi dice che “se l’è cercata”…
Sì, questo è stato il loro alibi. Era facile uccidere un omosessuale nell’Italia di allora e di oggi, e si sentivano così forti di questa copertura che hanno commesso una marea di errori. Personalmente amo la magistratura e la giustizia, ma 40 anni dopo abbiamo ancora una sentenza grottesca che è peggiore di tutte quelle che sono state emesse sulle varie stragi italiane. Perché in quella sentenza non c’è una parola vera. In quella su Moro o sulla strage di Bologna c’è almeno una parte di verità, qui invece proprio nulla. La Storia e la Giustizia italiana hanno scritto un film completamente diverso, un film della Pixar che non c’entra proprio nulla con quel che avvenne quella sera.
Quindi si è trattato indubbiamente di una macchinazione, come dice il titolo. Il che spinge a chiedersi quali fossero le ragioni che hanno portato a organizzarla.
Le ragioni sono evidenti. Se fossi stato un politico corrotto o un agente dei servizi segreti, che a tutto risponde tranne che al suo Stato, o un’eminenza grigia nell’ombra della realtà italiana, anche io lo avrei ucciso. Ma non avendo le sottigliezze di queste persone, l’avrei ammazzato in modo semplice, come potrebbero ammazzare me uscendo di casa. Invece hanno voluto costruirci intorno questa macchinazione. D’altra parte Pasolini scriveva sui giornali cose che nessuno nel mondo ha mai avuto il coraggio di scrivere sulle trame oscure che vedeva nel proprio Paese. Mino Pecorelli, giornalista di destra, e Mauro De Mauro, giornalista di sinistra, sono stati uccisi per molto meno.
Parlando sempre di Mattei, e quindi di Cefis, è raro che si parli del delitto Pasolini in connessione con la P2, come hai fatto invece tu.
È qualcosa che mi è stato evidente riprendendo in mano Petrolio e rileggendolo in vari modi. Tutti si sono chiesti cosa fosse esattamente questa opera: un romanzo, un saggio, nessuno di questi ecc. In realtà Petrolio è la scoperta della P2. Pasolini non gli sapeva dare un nome, così come all’inizio non sapevamo darglielo noi diversi anni dopo quando abbiamo scoperto che esisteva. Ma Petrolio, come diceva Pasolini, è semplicemente mettere in collegamento le cose fra loro e tirarne le somme, e quindi è la descrizione di una rete di potere tentacolare che altro non è se non la P2. Persone più preparate di me hanno scritto di Petrolio, ma questa cosa, che a me pare di un’evidenza assoluta, è sfuggita a tutti.
In collaborazione con Radio Kaos