La musica, le facce, la città. Presi esattamente in quest’ordine di importanza, questi tre elementi sono gli ingredienti che rendono il musical gomorrista Ammore e malavita dei fratelli Manetti un film quasi perfetto (della lunghezza, l’ingrediente che stona, parleremo dopo).
Intanto le buone notizie: Ammore e malavita è un buon film. Di più: un ottimo film, di quelli da far crescere caparbiamente col passaparola. La musica innanzitutto, che in un musical è appunto la grammatica principale: partenza in levare, con il sound trascinante di “Scampia Disco Dance” e poi a cascata una serie di numeri destinati a diventare tormentone, da “Guaglione ‘e malavita” a “L’amore ritrovato”, remix mariano (geniale il balletto nella corsia d’ospedale con una madonna ricoperta di lumini elettrici) di “What a Feeling” dal musical Flashdance. Curata dai fratelli Pivio e Aldo De Scalzi, con testi di Nelson, la soundtrack di Ammore e malavita è un efficace mix tra folk, disco, rap e neomelodico capace di accontentare i palati musicali più raffinati, e di entrare diegeticamente nella storia in maniera talmente efficace da farsi desiderare, ancora e di più – avremmo voluto vedere più coreografie, più balletti, più numeri musicali.
E poi le facce. Una Serena Rossi così, capelli afro e ugola d’oro, in Ammore e malavita si affaccia allo spartiacque di una carriera che dovrebbe puntare adesso solo sul cinema, per capitalizzare una performance che è il film. Fatte le debite proporzioni, Rossi sta al partner di scena Giampaolo Morelli come Meryl Streep a Pierce Brosnan in Mamma Mia: lui in parte ma non avvezzo al canto, lei trascinante, energica, intonata, elemento che accorda la coppia all’armonia generale. E ancora Rais, voce autentica e volto stropicciato, e Claudia Gerini che in coppia con Carlo Buccirosso (altra idea di casting azzeccata) e in un colpo solo (“Il numero della serva”: eseguito con tanta ispirazione che ne avrebbe meritato un altro) si riconquista un livello di stima che solo ai tempi di Viaggi di nozze. E che Napoli, quella dei Manetti. Una Napoli povera ma sexy, quella delle Vele e di Scampia, ma raccontata in chiave di favola a lieto fine, tra mucchi di cozze che nascondono cadaveri e barche che contrabbandano ragazze innamorate, sparatorie tra i container e amori sospirati tra i blocchi di cemento armato sui moli di Castellammare.
Piccolo gioiello di un genere ingiustamente considerato “impossibile” in Italia, e per contrappasso unico italiano a passare il test della critica statunitense a Venezia, Ammore e malavita commette solo un errore, un peccato d’orgoglio, nel non volersi separare da qualche sequenza di troppo nella parte centrale. Meno sparatorie e più canzoni, più fiori e meno cannoni, e la ricetta sarebbe stata perfetta. Ma ci si può accontentare. È un film che si fa godere, e soprattutto, come ogni musical che si rispetti, gioiosamente cantare.