Tre anni fa usciva Spaghetti Story, esempio di film realizzato con un microbudget, che ha inaspettatamente avuto un grande successo. Ora Ciro De Caro si confronta con le speranze e i timori di ogni regista al suo secondo lungometraggio.
Sono sempre stato della convinzione che ci sono storie che possono essere raccontate con budget bassissimi, raggiungendo standard qualitativi che hanno poco o nulla da invidiare a produzioni ben più grandi. Sei d’accordo? Quali sono, però, i rischi che si corrono per chi sceglie questa opzione?
Sì, ci credo, perché l’ho fatto e sono sempre più convinto che sia, a volte, l’unica strada per giovani autori che non riescono a farsi produrre il primo film. È un tipo di produzione un po’ folle, ma anche se si può pensare che sia un’operazione molto rischiosa, in realtà non lo è. Il rischio è quello di aver buttato i soldi che si sono investiti, che per chi come me ha messo tutto quello che aveva per fare un film è tanto, ma i punti a favore sono di più. Intanto non si ha niente da perdere, se si fa un brutto film probabilmente non lo vedrà nessuno, le aspettative sono pari a zero, e si gode di totale libertà. L’aspetto della libertà è il più importante, perché spesso si vedono opere prime prodotte in maniera spregiudicata che usano linguaggi nuovi, rompono le regole, tutte cose difficili da vedere nella maggior parte dei film mainstream prodotti in Italia. Frequentando molti festival ed essendo un cinefilo, noto che il cinema nel mondo (e anche in Italia, anche se a livello più underground) osa parecchio. Mi viene da sorridere quando sento dire che è nelle serie americane che si vede la vera innovazione: questa percezione credo la abbia chi va a vedere solo i film più popolari e non ha uno sguardo più vasto sulla cinematografia mondiale. Tuttavia non credo sia così scontato che dopo aver fatto un primo film indipendente (anche se di successo) si arrivi a fare un salto definitivo nella propria carriera. Questo perché il mercato e il cinema stanno cambiando, perché si produce tantissima roba, perché c’è internet, Netflix, facebook e così via. Prima, quando per vedere qualcosa si poteva andare solo al cinema, era più semplice e c’era un dibattito culturale più vivo, adesso vogliono essere tutti protagonisti e non si sa chi rimane a fare lo spettatore.
Acqua di marzo è un’opera stilisticamente molto vicina a Spaghetti Story, pur essendo costata di più. Da cosa viene la decisione di mantenere lo stesso approccio essenziale, minimalista, pur avendo a disposizione risorse maggiori?
Non sono uno che razionalizza molto le scelte, agisco sempre di pancia e poi capisco però che una motivazione c’era. In generale mi piace la crudezza, il realismo, credo che il cinema debba graffiare e disturbare un po’ anche nel linguaggio, non solo nei contenuti, altrimenti rischia di diventare troppo simile alla televisione. Non ne faccio dunque una questione di budget, ma più che altro una scelta di rigore stilistico che in questo momento mi rappresenta. Tuttavia, anche se Acqua di marzo è costato di più di Spaghetti Story, rimane sempre un low budget, e per il momento, anche il prossimo vorrei che avesse un budget “limitato”. Questo mi consente di mantenere un certo controllo sulle scelte anche se, quando c’è un produttore, a dei piccoli compromessi bisogna sempre scendere, purtroppo o per fortuna non lo so.
Il tanto temuto passaggio da un’opera prima a un’opera seconda: cos’è cambiato per te in termini produttivi e distributivi?
Dopo un primo film che ha avuto moltissimi riscontri positivi, che faceva simpatia ed era coccolato, la paura di deludere mi ha sempre accompagnato. Non so se anch’io ho commesso i classici errori che si commettono nelle Opere seconde, ma una cosa l’ho capita e purtroppo l’ho capita dopo e spero non si veda in Acqua di marzo. Ho capito che i secondi film si sbagliano per presunzione. Dopo un lavoro per il quale hai ricevuto solo complimenti, puoi commettere l’errore di crederti onnipotente e di poter fare come vuoi. Non è così, ma ora capisco che è difficile rendersene conto in tempo. Per quanto riguarda la distribuzione, questa volta c’è già una distribuzione e lo sapevo già prima di iniziare a girare. Con Spaghetti Story è stato un salto nel vuoto.
È un’opera apparentemente semplice, in realtà dalla costruzione e dai temi complessi…
È un film in cui metto in scena la facilità con cui ognuno di noi si racconta bugie e ipocrisie facendo finta di essere felice. Si parla d’amore, dei rapporti di coppia e di quanto sia sempre più difficile gestirli; diventiamo sempre più incapaci a stare in coppia, e questo mi terrorizza e mi affascina, ne sono quasi ossessionato. Acqua di marzo parla dell’incapacità di saper lasciare andare le persone e le cose che amiamo. Siano esse una compagna o un compagno, una nonna morente, un vecchio cimelio o qualcosa di noi stessi.