La Trincea è un corto sulla fine del primo amore. Un evento tragico perché significa affrontare il lutto di un qualcosa percepito sempre come puro e idilliaco. Per fare ciò il protagonista decide di elaborare una vera e propria strategia di guerra, che lo porta a dividere Roma in settori, così da potersi muovere in sicurezza.
Accompagnati dal racconto di un narratore, assistiamo al percorso di elaborazione del ragazzo, i cui umori si fondono con la città, teatro della tenzone, fino tornare, quasi naturalmente, sul luogo del delitto e a guardarlo con occhi nuovi. Beatrice Calò, alla sua prima sceneggiatura, e Giulio Donato, al suo terzo corto e con alle spalle tanto lavoro sui set, sono la madre e il padre del corto, anche se è della penna della ragazza che la storia è nata.
[questionIcon] Com’è nata la collaborazione?
B: Avevo un racconto nel cassetto dal titolo Le zone minate. Iniziai a lavorarci per un concorso a cui poi non partecipai e, nel giro di poco, il titolo mutò in La Trincea” a cui continuai a dedicarmi per due anni con la sola prospettiva della sua realizzazione. E, dopo lunghe peregrinazioni e dubbi, ho deciso di produrlo io stessa affidandone la regia a Giulio. Noi ci conosciamo fin dai tempi del Liceo. Sapevo che era un regista e l’avevo anche aiutato sul set di Amore bambino, trovandolo incredibilmente valido e competente.
[questionIcon] Come ti sei rapportato alla sceneggiatura?
G: Ho cercato di essere il più fedele possibile alla storia.mIl mio lavoro è stato creare un percorso di sviluppo e una risoluzione alla vicenda personale del protagonista. Rielaborandola attraverso le immagini e la direzione degli attori. La mia preoccupazione principale è stata trasmettere il cambiamento del personaggio, per cui mi sono servito dei salti temporali e dei dettagli su sguardi e gesti, senza perdere il ritmo e la velocità necessarie per accompagnare il racconto del narratore.
[questionIcon] Quali sono le origini della storia?
B: Credo sia nata dall’esigenza di raccontare un dolore e provare ad alleggerirne la portata. Il condizionamento con gli autori latini, che per primi hanno cantato l’amore e la guerra, è stato inevitabile. Tra tutti Ovidio che, nei Remedia Amoris, presenta un vero e proprio breviario per l’innamorato che soffre, consigliando soggiorni in campagna o piazze poco affollate in cui recarsi, comparando l’elaborazione del lutto amoroso ad una strategia di guerra da mettere in atto per superarlo.
La trincea, di provenienza bellica più recente, è subentrata nel momento in cui ho dovuto dare un nome al percorso stradale-ideale tracciato da Giovanni per potersi muovere a Roma al “riparo dal fuoco nemico”. E mi è parsa ancor più appropriata dal momento che tingeva la sua guerra di quell’immobilità, attesa e logoramento, che sono un po’ la sostanza dell’elaborazione dolorosa.
[questionIcon] Quanto è stata importante la città di Roma?
B: Moltissimo. La teoria secondo cui l’uomo tende a sedimentarsi negli spazi in cui vive è stato il fattore con cui ho condotto tutta la storia. Gli umori e le paure del protagonista si ripercuotono sulla città e, in un qualche modo, la alimentano.
G: Roma è stata importante anche perché ha permesso l’uso del nome “Maria”.
B: Maria è un nome parlante. Comunissimo a Roma e rimandante all’iconografia della Madonna, inserita velatamente in alcuni momenti della narrazione. Fondamentale per il simbolismo che intercorre in tutto il corto: dare il nome di “Maria” al primo amore, cioè collegarlo ad un’icona, era, in un certo senso, sacralizzarlo.
G: Si è cercato sempre di abbracciare una visione frammentata della ragazza in ogni scena che la coinvolge. Andare verso l’idea, non verso la realtà. Tranne che nel finale. Vedere i due protagonisti che si rincontrano, in un campo largo, ci mostra come tutto è tornato ad essere piccolo, normale e, dunque, superato.
[questionIcon] Il vostro futuro.
B: Ho appena terminato la stesura del mio primo libro, che ho proposto per una pubblicazione e per cui ho ricevuto proposte per possibili adattamenti a mia volta.
G: Oltre a continuare il mio lavoro da aiuto regista, mi sto dedicando al mio primo lungometraggio.