È uno dei volti giovani più amati delle fiction Rai: dal casanova dal cuore d’oro Nico di Che Dio ci aiuti al medico combattivo ma fragile di Doc. Nelle tue mani, Gianmarco Saurino si è imposto all’attenzione del pubblico e della critica, dando inizio a una carriera sempre più in ascesa. E mentre l’anno prossimo lo vedremo cimentarsi anche con il cinema, nel ruolo di un giovane ragazzo omossessuale all’apparenza sicuro di sé, l’amore per la recitazione continua a crescere fin dai tempi della scuola: «Non credo che ci sia stato un momento preciso in cui ho deciso che la recitazione fosse la mia strada. Sicuramente, però, è stato verso la fine della scuola superiore: a quell’età ci si interroga su cosa si vuole fare nella vita. Io avevo frequentato dei laboratori di teatro e avevo lavorato come animatore in un villaggio turistico, e mi ero reso conto che stare sul palco mi piaceva, che mi faceva sentire bene. Allora ho deciso di buttarmi nell’arena!».
E ti sei trasferito a Roma…
Quando ho deciso di tentare questa carriera, non avevo idea del percorso da intraprendere. Vengo da un paese di provincia, quindi non avevo chiaro come dovessi muovermi per fare concretamente l’attore. Ho pensato fin da subito che la formazione fosse fondamentale, cosa in cui credo anche oggi, e ho provato a entrare al Centro Sperimentale, riuscendoci. Da lì, la strada è stata tutta in salita, ma poco alla volta mi sono sempre più convinto di aver seguito la direzione giusta.
Hai iniziato partecipando a diverse fiction Rai come Che Dio ci aiuti e Non dirlo al mio capo. Come è stato passare dalla scuola al set?
Da zero a cento in sessanta secondi! All’inizio non ti nego che è stato straniante. L’approccio che ti da la scuola è essenzialmente teorico, “di mestiere”: ti insegnano i metodi americani, che spesso ritrovi concretamente a teatro. I set televisivi sono invece un mondo totalmente a parte: ti senti immerso in un meccanismo più grande, dove tutto è più pragmatico e in certi sensi artigianale. Una volta superato l’impatto iniziale, ho però imparato a capire cosa di ciò che avevo imparato fosse importante, e mi sono trovato a mio agio. Poi, iniziare con ruoli grandi e periodi di riprese molto lunghi mi ha insegnato la disciplina. La lunga serialità è molto formativa per un giovane attore… Permette di farsi il fisico!
Ora sei sul piccolo schermo con Doc. Nelle tue mani, fiction Rai di enorme successo. Come è stato interpretare Lorenzo?
Lorenzo è il personaggio più difficile che io abbia mai interpretato. È un ragazzo fragile, con una marea di cicatrici nascoste, che soprattutto in questi nuovi episodi stanno emergendo. Io amo dare vita a personaggi difficili, a cui a un certo punto manca la terra sotto i piedi, perché ciò li rende più umani e sfaccettati. Inoltre, quando ho iniziato a lavorare su Lorenzo, mi sono dovuto confrontare anche con una professione complessa come quella del medico. Ho avuto la fortuna di seguire come un’ombra alcuni dottori, respirare in prima persona l’aria dell’ospedale, capire che ciò che per noi è straordinario per i medici è la normalità. Questo mi è stato molto utile.
Stai per esordire anche in un lungometraggio: Maschile singolare, opera prima di Matteo Pilati e Alessandro Guida.
Maschile singolare è un film che parla di amore: pur avendo protagonisti LGBTQ+, credo sia un racconto universale, in cui non è davvero importante l’orientamento sessuale dei personaggi, ma l’amore che si vuole mettere in scena. Io interpreto Luca, un giovane omosessuale dal carattere forte. Sulla carta, Luca doveva essere un ragazzo solido e risolto, tanto nella vita privata, quanto in quella professionale. Discutendo con i registi, ho cercato però di aggiungerci qualcosa di mio: ho voluto mostrare anche la sua fragilità e la sua umanità, che credo l’abbiano reso più vero. Come con Lorenzo in Doc, mi sono divertito a far emergere le sue ferite e le sue insicurezze.
Dopo questi successi, come è cambiata la tua vita quotidiana?
Mi ritengo una persona molto fortunata: sto facendo non solo un mestiere che amo, ma un lavoro veramente fuori dall’ordinario. Quando qualcuno mi riconosce per strada o al supermercato, non posso che esserne felice, ma soprattutto ne sono grato, perché se sono dove sono è anche grazie a chi segue le cose che faccio. In questo senso, amo molto fare teatro, perché rispetto al cinema e alla televisione ti permette di avere un rapporto più diretto con il pubblico: infatti, lo dico sempre, sono un teatrante prestato volentieri alla televisione.
Cosa consiglieresti a un ragazzo che vuole seguire le tue orme?
Ho tenuto diversi laboratori di teatro con ragazzi giovani, e molto spesso mi è stata posta questa domanda. Mio padre, quando gli dissi che volevo intraprendere questa carriera, mi rispose di provare con tutte le mie forze, ma di avere la coscienza di sapere che se avessi dovuto fallire non sarebbe stata colpa mia. Credo che questa frase racchiuda la risposta a questa domanda: il mestiere dell’attore è difficile, bisogna impegnarsi al massimo, ma non è detto che poi ce la si faccia. Credo però che il primo passo sia la formazione, perché lo studio è fondamentale, ma poi serve fortuna, tenacia e, come si dice a Roma, la tigna!
E nel futuro, cosa ti si prospetta?
Nell’immediato, le ultime puntate di Doc, ora in onda. Poi, l’uscita di Maschile singolare, prevista per il 2021. Al momento sto girando la sesta stagione di Che Dio ci aiuti, mentre il Covid ha messo in stand-by altri progetti. Il prossimo anno vorrei prendermi un periodo per fare un po’ di teatro e andare a studiare all’estero, magari a Londra. Credo che ogni tanto sia giusto prendersi una pausa dal set.
Che personaggio vorresti interpretare, se te ne venisse offerta la possibilità?
Come avrai capito, mi piacciono i ruoli drammatici. Poi, sarà banale, ma mi piacerebbe interpretare un cattivo, che è una figura fragile per eccellenza. Oppure, anche l’esatto contrario: non mi ci vedresti come protagonista di una commedia romantica?