Tante volte il «come il Diavolo e l’Acqua Santa» ci sta a pennello. È questo il caso delle uscite cinematografiche di questa settimana. Tre i titoli che, pur tra le mille difficoltà dei protagonisti, puntano al cuore dello spettatore con un florido caleidoscopio di buoni sentimenti: l’Acqua Santa. Più uno che invece ne gratta gli istinti più bui: il Diavolo, appunto. Iniziamo il trittico positivo con L’incredibile viaggio del fachiro. In origine c’era questo romanzo dolce e picaresco di Romain Puértolas, bestseller in Francia con 300.000 copie vendute, e edito in Italia da Einaudi; s’intitolava L’incredibile viaggio del fachiro che restò chiuso in un armadio Ikea. Il canadese Ken Scott, già regista del mirabolante Starbuck, ha tolto il mobilificio dal titolo oscurandone il logo. Tuttavia, è proprio quello il luogo dell’incontro con la ragazza del suo cuore per il giovane indiano Aja, volato a Parigi per conoscere il padre. Da lì partirà un’odissea non prevista di avventure a tappe europee in compagnia di personaggi un po’ sui generis.
Il protagonista, la star di Bollywood Dhanush, sfodera tutte le sue carte da gentil mattatore. Illusionista, guascone, tombeur de fammes e ballerino, il suo personaggio ci accompagna in un percorso magico come quello di Mr. Fog e colorato come il più noto The Millionaire. Con la scusa del viaggio di un extracomunitario nell’Europa dei porti chiusi o in dubbio, si fa una volata sul mondo dell’immigrazione e della clandestinità. Leggerezza e semplicità mai ingenue fanno però da marchio distintivo a questa favola per tutta la famiglia che regala pensieri positivi a palate. Un toccasana in controcorrente rispetto a tanto cinema attuale tenuto al giogo da protagonisti con l’anima sporca. Da menzionare sono le presenze carismatiche nel cast di Berenice Bejo, per l’occasione diva internazionale di stallo a Roma, e Barkhad Abdi, nei panni di un immigrato clandestino incuriosito dalla storia incredibile di Aja. Da non perdere se si vuole uscire dal cinema con un bel sorriso.
Non tutti i mali vengono per nuocere. Non sempre però, perché il male nuoce. Ad esempio, come si può reagire a un incidente, anzi a un attentato, che ti strappa via le gambe? Stronger mette sul grande schermo la reale vicenda di Jeff Bauman, il ventisettenne che divenne famoso per le menomazioni provocategli dall’attentato alla Maratona di Boston del 2013. Una storia vera per un film originato dall’autobiografia omonima edita da Mondadori. Jake Gyllenhaal s’infila in un ruolo spinoso, sentito e senza gambe con l’umiltà di ricreare senza fronzoli quel silenzio sofferente che ha forgiato Bauman tra i megaeventi dov’era suo malgrado protagonista e le più semplici azioni casalinghe divenute privatissime lotte intrise di disperazione.
Il lavoro lontano da lacrimosità di David Gordon Green articola una regia di empatie fluttuanti tra personaggi mai eroici, né completamente negativi, come la madre alcolista, ma profondamente realistici. Gli spettri dell’esplosione e la sfortuna intrepida di un personaggio speculare a quelli dell’ultimo Eastwood di Ore 15.17: attacco al treno completano un affresco sociale americano tinto d’interventismo militare quanto di razzismo, fino, all’opposto, del vizio di vivere e andare avanti a prescindere. Elemento quest’ultimo incarnato perfettamente dalla fidanzata di Jeff, impersonata da Tatiana Maslany. Ne viene fuori un’insolita morale che punta sulla coriaceità pacifica di un uomo e della sua ragazza di fronte all’orrore per un terrorismo che uccide e mutila anche sportivi innocenti. Una storia vera per elogiare il valore della vita.
Con il suo Estate 1993, invece, Carla Simon si conferma come un’Alice Rohrwacher di Spagna. Quanto meraviglia il suo film? Non moltissimo in quanto cinema, ma come vita vera. Una serie di fatterelli affilati senza un intrico drammaturgico aggrappante che riveli qualcosa dei personaggi caratterizza la storia di questa ragazzina orfana nella sua prima estate con la nuova famiglia adottiva. La magia arriva tuttavia dallo sguardo su questo nuovo mondo attraverso gli occhi della bambina. Racconto ovattato e morbido, Estate 1993 può essere ascritto al sottogenere del film-verità sia per realisticità e naturalezza di ogni comparto narrativo e attoriale, sia per somiglianza anche ad un altro fine raccontatore europeo come il Kechiche di Canto Uno e Vita di Adele.
La famiglia ascolta tanto jazz e l’atmosfera ne beneficia enormemente per questo selezionato spagnolo per le candidature all’Oscar al Miglior film straniero. Capricci, prime intese con la nuova madre, la scoperta del rapporto tra sorelle e le ginocchia sbucciate per una caduta inteneriscono davanti a questa giovanissima attrice di nome Laia Artigas. La perfetta incarnazione di un’infanzia sporcata dal lutto che rielabora la nuova vita immersa in un ambiente bucolico, ma soprattutto lo sguardo della regista, che in maniera autobiografica imbriglia nel film un realismo sconcertante. Quasi contro le leggi dell’intrattenimento commerciale a forza di nodi narrativi e trovate aggrappanti per l’attenzione del pubblico. Insomma, uno slow film per puristi di cinema verosimile.
E quando il Diavolo ci mette le corna, giunge il momento per il nuovo capitolo del grosso franchise di turno. Grosso relativamente perché La prima notte del giudizio è il quarto film, prequel di una trilogia per la verità, di una trovata distopica molto originale ma di budget contenuto (solo 13milioni di dollari). Finalmente scopriamo la nascita della Purificazione, una notte di 12 ore l’anno dove le leggi si eclissano e lo Sfogo dei cittadini prende il sopravvento. Perché? Elementare, per ridurre il crimine. Impostato come una teoria sociopsicologica, il criterio che percorre anche questa trama ha il suo fascino malefico. Marisa Tomei fa la psicologa ideatrice dell’esperimento messo in atto sull’isola newyorkese di Staten Island. Si, quella degli sbarchi dei migranti dall’Europa di un secolo fa, oggi borgata popolare a stelle e strisce.
La forza dell’uno armato fino ai denti contro tutti prende spesso il sopravvento quando si tratta di action e fucili automatici. Ce l’insegnano i vari Terminator, Robocop, Blade, Predator e Commando. Perciò preparatevi a seguire le disavventure urbane di questo nerboruto boss di quartiere e della sua ex, pacifica attivista contro lo Sfogo. Guarda un po’, entrambi afroamericani e di ceto non ricco. Gang che diventano angeli custodi, neo Ku Klux Clan inviati sommessamente dal Governo, uccisioni di lama o proiettile con maschere di gomma e droni da Grande Fratello e vittime innocenti e colpevoli gettate nel racconto tritacarne sono alcuni elementi di questo giocattolone oscuro e adrenalinico che parla contraddittoriamente di violenza. Come facevano del resto Il giustiziere della notte e I guerrieri della notte. E sempre notte facciamo pure col Giudizio di questo futuristico partito Usa dei Nuovi Padri Fondatori Americani, promotori «lungimiranti» di questa soluzione estrema a problemi sociali. Semmai doveste trovare blandi accostamenti con gli Stati Uniti di oggi, o di un altro paese a caso, prendetevela con il creatore del franchise James DeMonaco.