Ci sono dei gesti, delle scene che alle volte rimangono impresse sulla pelle, arrivando dritti all’interiorità di chi le guarda. Uscito da poco su Sky, dopo aver chiuso fuori concorso le Giornate degli Autori alla Mostra Internazionale del Cinema di Venezia, il nuovo film di Francesco Lettieri Lovely Boy ha la capacità di sostare nella mente degli spettatori, catturandone l’attenzione nonostante evidenti difetti complessivi.
Un anno dopo Ultras, Lettieri decide di filmare la storia di Nick, in arte “Lovely Boy”, personaggio finzionale del mondo della trap. Della trap, però, al regista e sceneggiatore napoletano interessa poco e nulla. Lettieri riprende il filo da dove lo aveva lasciato nel suo film precedente. Continua a tessere la storia delle anime perse, quelle anime che popolavano “La collina” di De André, rendendole più contemporanee. È il sapore della contemporaneità, infatti, a interessare lo sguardo del regista e non l’ambiente musicale in sé.
Nick, interpretato magistralmente da Andrea Carpenzano (La terra dell’abbastanza), artista romano, è un astro nascente della trap. Pian piano entra in un mondo che lo isola sempre di più, facendogli perdere il controllo. Travolto in un giro di lusso e dipendenze, finisce così in un rehab in Trentino, evento che divide esattamente in due il film. Già da questa breve sinossi si può capire come nella sua totalità, Lovely Boy sia un film visto e rivisto (qui, infatti, l’enorme difetto dell’opera), ma il graffio di Lettieri è nel modo in cui decide di riprendere la vicenda.
Nel concentrarsi su piccoli gesti quotidiani, come la semplice apertura di una bottiglia, il regista cattura lo spettatore dentro la fragilità di chi ormai non ha neanche più il controllo del proprio corpo. La macchina di presa si sofferma su inquadrature che allontanano il protagonista dal contesto, cogliendolo proprio mentre è al centro della spirale di solitudine tipica non soltanto dei cantanti o degli artisti, ma dell’uomo contemporaneo, immerso in un mondo narcisista che lo vorrebbe superiore a tutto e tutti, ma che invece svuota le proprie vittime.
È interessante, in quest’ottica, notare come in un vortice di comparse e di situazioni, Lettieri isoli sempre il suo protagonista, rendendo quasi tattile la sensazione di vuoto che egli prova in scene che si imprimono con potenza: finita la visione, gli spettatori continueranno a ripensare alla familiarità di quei dettagli.
Lovely Boy è dunque un film che nel suo complesso è stato già mangiato e digerito diverse volte, ma che ha nel suo tocco qualcosa in grado di far andare lo spettatore oltre il già noto. Lettieri segna così, nel suo percorso registico, una nuova tappa, dopo la quale, dopo “il matto” e il “suonatore Jones”, attendiamo la visita delle altre anime perse, che ancora dormono sulla collina, ma che attendono di essere indagate nella loro contemporaneità.