La notte più lunga dell’anno di Simone Aleandri, sua prima opera di finzione, arriva nelle sale cinematografiche italiane a partire dal 27 gennaio. Regista e sceneggiatore di numerosi documentari selezionati a festival internazionali, Aleandri ambienta la sua opera prima nella città di Potenza affidando l’interpretazione dei vari personaggi ad attori come Ambra Angiolini, Luigi Fedele, Massimo Popolizio, Alessandro Haber e Francesco Di Napoli.
È un film corale dove quattro storie si intrecciano, a volte sfiorandosi, nell’oscurità della notte tra il 21 e il 22 dicembre. A raccontarci del film il regista Simone Aleandri e Luigi Fedele, giovane interprete del personaggio di Johnny.
La storia si svolge nello scenario notturno di una città di frontiera stratificata da strutture imponenti dove la figura umana sembra quasi dissolversi, tra giganteschi parcheggi e infinite scale mobili. Cosa vi ha spinto a scegliere Potenza come città protagonista?
S.A.: Ho cominciato a frequentare la Basilicata diverso tempo fa in occasione di un altro documentario, Mater Matera, in cui è nata la collaborazione con Andrea Di Consoli, autore di origini lucane del soggetto della mia opera prima. In quell’occasione avevamo cominciato a immaginare di ambientare un film a Potenza con l’idea di descrivere una certa umanità che traspare nei personaggi del film. È una città moderna che si allontana dall’oleografia con cui viene spesso raccontato il sud. Conoscendola pensavo mi potesse dare potenzialità da un punto di vista cinematografico, è quasi pleonastico: Potenza, potenzialità.
La tua visione registica si muove dall’alto al basso e viceversa, conferendo alla verticalità un forte potere espressivo…
S.A.: Mi piaceva mettere in contrasto e in parallelo questa visione macroscopica della città, apparentemente immobile, rispetto a una più rasoterra, alle traiettorie umane dei personaggi. È una città difficilmente inquadrabile dal basso perché è piena di stratificazioni, di edifici molto pesanti che hanno una loro verticalità. Queste caratteristiche mi consentivano delle astrazioni geometriche che potessero esasperare l’umanità dei personaggi.
“Una manciata di luci incongrue sparse nel buio”, potremmo definire così i personaggi del tuo film?
S.A.: Questa è più l’immagine che Potenza ti restituisce al primo impatto, perché il territorio della Basilicata è un territorio poco antropizzato. È un posto apparentemente immobile, invece entrandoci e conoscendolo ti rendi conto che anche nei posti che sembrano immobili, c’è sempre qualcosa che si muove, come la vita.
I protagonisti di La notte più lunga dell’anno, anche se apparentemente diversi, sono tutti accomunati da una solitudine interiore. Quali sono stati i criteri adottati nella scelta del cast? Cosa cercavi?
S.A.: È un cast molto trasversale. Ci sono storie di ragazzi di vent’anni senza ambizioni in cerca di emozioni forti, di un politico a un passo dal baratro, di una cubista che ha deciso di cambiare vita, di un ragazzo deluso da una storia d’amore che naufraga, però la solitudine è il tratto che li unisce tutti. C’è una ricerca, un impulso in questi personaggi, qualsiasi età abbiano, a cercare il loro posto nel mondo. Ognuno dei personaggi ha un momento in cui durante la notte è come un cane randagio, senza padrone e senza riparo. Per il cast devo molto a Stefania De Santis, la casting director. Si è appassionata alla sceneggiatura e abbiamo cercato di assortire un cast eterogeneo come i personaggi che gli attori interpretano.
Come descriveresti il passaggio dal mondo del documentario a quello di finzione?
S.A.: Nei documentari per raccontare storie ti basi su elementi reali, non ci sono attori, anche se poi quello che viene definito cinema del reale reca sempre uno sguardo con sé che è soggettivo e personale. Lo stesso che c’è nel cinema tout court. Del documentario ho portato inoltre nel film di finzione la disponibilità all’accadimento: non amo un controllo asfittico e fine a sé stesso sulla sceneggiatura, ma credo che debba sempre passare attraverso il lavoro che si fa con gli attori.
Luigi, come ti sei trovato a interpretare questo personaggio? C’è un lato di Johnny in cui ti ritrovi particolarmente?
L.F.: Johnny è un ragazzo puro che nel film si trova a perdere la sua innocenza. Inizia il film vestito con un maglioncino di filo, una sciarpetta, una camicia, un cappotto, e alla fine si ritroverà nudo per strada al freddo, da solo. Credo sia fatto di due sentimenti contrastanti, la dolcezza e la rabbia, ed entrambi appartengono anche a me.
Che tipo di atmosfera si respirava sul set?
L.F.: Si avvertiva un clima di fiducia dove c’era spazio per essere liberi e creativi nel lavoro. Per un attore è fondamentale avere uno spazio di fiducia e libertà, trovare un ambiente in cui puoi esprimerti è quasi tutto.
Cos’è per te il cinema?
L.F.: Credo che il cinema sia forse l’arte che si avvicina di più alla vita e alle persone e che come la vita, molto spesso debba essere libero, incompiuto. Secondo me è un’arte vicina ai sentimenti, questo è quello che mi interessa maggiormente.
Puoi raccontarci qualcosa riguardo i tuoi progetti futuri?
L.F.: Sto aspettando l’uscita di Robbing Mussolini, un film di Renato De Maria e continuerò a sperimentare a teatro con il mio gruppo.