Dopo 15 anni dalla sua opera prima, Marco Martani, già sceneggiatore di tante commedie di successo (Ex, La mafia uccide solo d’estate, Se Dio vuole e molte altre) torna con La donna per me, una romcom dal gusto anglosassone poco usuale alle nostre latitudini, ora su Sky e Now.
Andrea (Andrea Arcangeli) è un trentenne alla vigilia del matrimonio con Laura (Alessandra Mastronardi), conosciuta al primo anno di università e con cui da allora ha costruito la sua vita. Tormentato dai dubbi, Andrea si ritrova bloccato in un loop temporale, costretto a rivivere lo stesso giorno. Ogni mattina, però, si risveglia in una vita diversa, in un sé stesso diverso, in universi paralleli in cui Laura non è mai stata la sua compagna. Scoprendo le mille declinazioni che avrebbe potuto prendere la sua esistenza, si renderà conto di quanto avesse dato per scontata la sua vita. Nel cast anche Stefano Fresi, Eduardo Scarpetta e Francesco Gabbani.
Il tuo film rientra pienamente nel genere delle commedie romantiche, ma ne hai rovesciato la struttura narrativa classica. Come hai dialogato con la tradizione?
Siamo partiti dalla voglia di raccontare una storia d’amore che ribaltasse il cliché, la classica storia dove i due protagonisti si incontrano. È stata finora poco raccontata, soprattutto nella declinazione della commedia sentimentale, la vicenda di due persone che stanno insieme da tanto e che si devono in qualche modo re-innamorare. Questa chiave narrativa era per me molto interessante, soprattutto in relazione al periodo storico in cui ho scritto il film con Eleonora Ceci, ovvero durante il lockdown, in cui tutti eravamo chiusi in casa e “costretti” a riscoprire la quotidianità. Il ruolo della mia sceneggiatrice è stato fondamentale, in particolare per avere uno scambio su alcune dinamiche di coppia che, altrimenti, avrebbero avuto uno sguardo unicamente maschile.
Hai intrecciato l’elemento romantico con l’espediente del loop temporale e quindi con il fantasy. Come ti sei confrontato con questa scelta narrativa e quali sono stati i tuoi riferimenti?
Il riferimento filmico più vicino, anche se molto diverso, è Questione di tempo (About time) di Richard Curtis. Non volevamo fare un film fantasy ma usare l’elemento fantasy per raccontare al meglio la storia d’amore: ma c’è anche qualcosa di più ampio. Il problema di Andrea va aldilà della storia d’amore, non è mai soddisfatto di ciò che ha e pensa ci sia sempre qualcos’altro. In questa legge del contrappasso che lo fa allontanare ad ogni universo sempre di più dalla sua Laura, si rende conto che quello che aveva prima lo faceva sentire bene, ma se ne accorge troppo tardi. Ognuno di noi vorrebbe poter tornare indietro per poter cambiare qualcosa nella sua vita e per questo si crea un meccanismo empatico con Andrea. È un viaggio introspettivo, il viaggio che ognuno di noi vorrebbe fare.
Proprio per queste sue peculiarità il film è in qualche modo una novità per il panorama italiano.
Ho voluto allontanarmi da un certo tipo di commedia italiana, diciamo standard, di cui sono in parte responsabile, ne ho fatta tanta. Intendevo raccontare una storia molto realistica nonostante il paradosso temporale, che chiaramente è una forzatura. Perciò ho cercato di rendere tutto credibile e non forzare mai la mano sulla comicità o sulla farsa. La produzione, Lucky Red, ha accettato subito le mie scelte, compresa quella di avere un protagonista inedito, nonostante in molti continuassero a dirmi che era preferibile un attore più famoso, anche un po’ più vecchio ma più famoso. Su questo invece sono stato irremovibile, perché la mia è la storia di un trentenne a una svolta della sua vita: avrebbe avuto un altro effetto se fosse stato interpretato da un quarantenne o un cinquantenne, sarebbe stato necessario cambiare la sceneggiatura e le motivazioni del protagonista. E perché avrei dovuto farlo? Semplicemente perché in locandina un attore più famoso porta più gente al cinema? Oggi non sono per niente sicuro che sia così. Inoltre, c’è una generazione di attori penalizzati da altri interpreti che sono ormai quarantenni ma che fanno ancora i trentenni. In Inghilterra e in America per questo tipo di storie si scelgono spesso volti nuovi, proprio per reinvestire nello star-system. In Italia, invece, prendere come protagonista un attore non conosciuto è quasi un atto di blasfemia. Il mercato ce lo sta dicendo già da anni che questa cosa non funziona più e io voglio essere uno dei primi “combattenti”. Quando faccio i provini e vedo un attore bravo, che sa emozionarmi, non mi importa se è famoso o no, voglio lavorare con lui.
Giocando con il tema delle realtà alternative, non hai dovuto costruire un solo mondo, ma ben cinque, dove gli attori si sono trovati a dover interpretare versioni differenti dei loro personaggi. Come ti sei rapportato con gli attori?
È stato un lavoro sulle sfumature. Alessandra Mastronardi, molto coinvolta nel progetto, è stata bravissima. Il personaggio di Laura in ogni universo doveva tirar fuori un elemento, una sfumatura, che facesse ricordare ad Andrea di chi si era innamorato all’inizio: la parte un po’ più disinvolta, anche sessualmente più disinibita, oppure quella più pasionaria o tenera e romantica. Arcangeli, invece, si trovava nella condizione della consapevolezza: una bella sfida, è stato un lavoro di sottotesti notevole e lui è stato davvero in gamba, rimanendo sempre credibile.
Sono passati diversi anni da Cemento armato, il tuo primo film da regista. Cosa ti ha fatto venire voglia di ritornare alla regia?
Mi sono divertito molto in quel film, anche se non era una prima regia vera e propria. Avevo girato con Fausto Brizzi Notte prima degli esami e lavorato fianco a fianco con lui nei suoi primi lavori. Con Cemento armato mi sono messo in gioco cambiando completamente genere: amo lavorare sugli aspetti tecnici – le riprese, la fotografia, la musica – e il noir dà più libertà della commedia. Poi con altri soci abbiamo fondato Wildside e mi sono preso la responsabilità di gestire i progetti, scrivere e leggere proposte e non avevo più tempo per fare il regista. Ora che la società cammina benissimo con le sue gambe ho ripreso a dirigere. Dopo La donna per me girerò un altro film a settembre, anche se la scrittura resta sempre il mio primo grande amore. Mi piace l’idea di dare un valore aggiunto alla scrittura con la regia: molti registi ci riescono, altri meno, io non lo so, ma mi impegno nel trovare una quadra. Inoltre sono molto pignolo, per la scrittura ci metto tanto. La sceneggiatura di La donna per me ha richiesto una ventina di stesure, ci è voluto quasi un anno e mezzo. Il risultato sembra semplice, ma far tornare tutto è stato complesso. La semplicità è sempre frutto di un grande lavoro.