Siamo giunti così alle ultime uscite del mese di luglio, che vedono un fioccare di offerte cinematografiche varie e contrastanti per forma e sostanza. Con Io, Dio e Bin Laden, Nicolas Cage accetta un’altra parte ai confini dell’assurdo. Si tratta di una bizzarra commedia ispirata ai viaggi di Gary Faulkner, un attempato borderline americano che sfidò il sistema tentando ben 11 volte di raggiungere il Pakistan per catturare Bin Laden tutto da solo. Si, solo perché era Dio ad averglielo intimato. È assurdo che un personaggio del genere esista davvero, scriva bestseller e sia seguito nei talk show d’oltreoceano come un divo da salotto tv. Ma la contemporaneità dei biopic a volte si ostina a premiare vite scelte quasi a caso. Cage va a nozze con questa sfida. La sua performance ebbra di arzigogoli gioca al rialzo su un film sospeso tra due implausibilità della storia: una vera, l’altra filmica.
Prodotto di nicchia almeno per il nostro paese in quanto demenziale d’autore (in Usa uscì nel 2016), il film di Larry Charles appare scombinato quanto il suo protagonista. Charles è sbocciato sceneggiando la celebre sitcom Seinfeld e al cinema ha diretto Sacha Baron Cohen in Borat e nelle sue altre scorribande più estreme. Bisogna aspettarsi veramente di tutto dalla nuova accoppiata con il divo di bocca buona. Si ride pure, soprattutto nelle incursioni di un Dio più alla mano che mai, ma, dopo tutto quello smucinare di gag e avventure da moderno Barone di Münchausen, il vuoto che lascia dentro è significativo.
Spin-off al femminile dell’omonima saga, Ocean’s 8 riduce a otto le sue protagoniste. Niente più Pitt e Clooney, il suo truffatore è passato a miglior vita, ma la sorellina alla sua altezza Sandra Bullock ordisce il piano per portarsi via una collana inestimabile. Socia arguta e sensuale maschiaccio androgino sarà Cate Blanchett, ma il cast all-star propone tra le otto una Rihanna hacker in sovrappeso e una Anne Hathaway modellina svampita. La trama dell’heist movie è ordinata e solida e ha una struttura narrativa simmetrica e a specchio di 3 fasi: preparazione, colpo e indagini a ritroso. Ironia d’alta moda, qualche cameo dal franchise principale, e un James Corden in grande spolvero come investigatore assicurativo, lo spin-off prodotto dall’ideatore originale Steven Soderbergh strappa sorrisi intelligenti, intrattiene discretamente concentrandosi principalmente a incantare un pubblico femminile ma lascia pure un pizzico di nostalgia per gli (Ocean’s) Eleven che furono.
Dopo aver variegato la commedia in 2 nuance è tempo di sprofondare nell’horror. Lo hanno definito il nuovo Esorcista, anche se in realtà non c’è nulla o quasi di questo, se non il solito marketing. La trama di Hereditary – Le radici del male ruota intorno a una famiglia colpita dal lutto per la nonna, una donna autoritaria dai molti lati oscuri e praticante di riti occulti che sembra ripresentarsi alla figlia e alla nipote. Il povero Gabriel Byrne, genero dell’anziana dovrà tenere le fila di una famiglia a pezzi. Invece Toni Collette, madre allucinata, e Alex Wolff, figlio tossico, dovranno vedersela pure con la piccola di casa: una Milly Shapiro sedicenne capace di incutere i migliori brividi da film di genere con la semplice presenza scenica, al pari di una piccola Bela Lugosi 2.0. Storia imprevedibile e dai risvolti raccapriccianti, Hereditary raggiunge le perfette temperature raccomandate dal genere mantenendo costanti raffinatezza, novità e shock d’immagine. Imperdibile per i patiti dell’horror.
Poi ci sono i film verità. Quelli che come pugni stretti di rabbia colpiscono la coscienza dello spettatore. Il colpo è sferrato magistralmente dalla regista Kaouther Ben Hania. Il suo La bella e le bestie ci sbatte lucidamente nella Tunisia attuale, contro la vicenda intollerabile di una ventunenne violentata da due poliziotti che cerca disperatamente di denunciare l’accaduto alle autorità. Un vortice di malaffare e corruzione camuffato da burocrazia e lungaggini tratteggia in 9 atti una sintesi dolorosa delle ingiustizie ancora rivolte alle donne nell’Africa settentrionale del dopo Ben Ali. Film politico e di denuncia, nella sua lettura più nera si presenta come un presepe vivente al contrario: i protagonisti Mariam e Youssef (Maria e Giuseppe) percorrono in una notte non l’accoglienza ma il rifiuto e le umiliazioni da tutti. Nessuna nascita virginale ma soltanto una violenza sterile brutale e impunita. Nessun incanto ma solamente colpe riversate sulla ragazza e il suo accompagnatore, scomodo testimone dello stupro. Sono magnetici gli attori Mariam Al Ferjani e Ghanem Zrelli, mentre il sostegno del Ministero della Cultura Tunisino al progetto, co-prodotto anche da Francia, Svezia, Norvegia, Libano, Qatar e Svizzera, è un segno positivo in un paese dove la nuova democrazia ancora non brilla.