Il delta del Po è un posto speciale per girare film, ce lo aveva già dimostrato Claudio Cupellini col bellissimo La terra dei figli, tratto da uno dei capolavori di Gipi. È un luogo geografico che diventa immediatamente luogo dell’anima. È un mondo diverso e quasi alieno, tutto è grigio-fango, il cielo, la terra e l’acqua, e grigie sono anche le persone, anfibie. La terra dei figli era un film di fantascienza ambientato in un mondo post apocalittico, Delta di Michele Vannucci è una storia di questo mondo, fatta di ambientalisti, pescatori e bracconieri, fratelli e sorelle.
Osso (Luigi Lo Cascio) e Nani (Greta Esposito), fratello e sorella, sono dei volontari ambientalisti che, perlustrando il delta, in mezzo a plastiche e frigoriferi abbandonati, ritrovano una quantità di pesci morti in modo anomalo. Osso, che è un attivista vecchio stampo, se la prende subito con i “padroni”, con le grandi fabbriche che avrebbero ricominciato a sversare sostanze tossiche nel delta, ma il pescatore Zanin (Denis Fasolo) li avverte che no, gli sversamenti non c’entrano: è colpa dei bracconieri, che pescano con l’elettricità. Ed effettivamente i bracconieri ci sono, ce li ha portati Elia (Alessandro Borghi), un ragazzo cresciuto da quelle parti, ma scappato presto verso la Romania, accolto dalla famiglia che si è scelto, quella appunto dei bracconieri.
C’è un problema fondamentale in Delta, che si intravede all’inizio della seconda parte e diventa macroscopico alla fine. Gli sceneggiatori Massimo Gaudioso, Fabio Natale, Anita Otto e Michele Vannucci hanno creato una miriade di tensioni e hanno deciso di chiuderle tutte, costringendosi a delle forzature. C’è il conflitto generazionale tra fratello e sorella, quello di principio tra ecologisti/pescatori e bracconieri, ci sono le tensioni d’amore tra Osso e Anna (Emilia Scarpati Fanetti) e tra Elia e Anna, c’è il dissidio di un uomo buono, Osso, che vede avvicinarsi la possibilità di fare del male, c’è per Elia il ritorno alla terra natia da cui è scappato, e c’è anche la questione morale del doppiogiochista Causo (Sergio Romano).
Capita che la vita assomigli al cinema, e, ancor più spesso, che il cinema voglia assomigliare alla vita. Il problema sopraggiunge quando si vuole fare un film che, nelle sue pieghe, rimandi alla vita di tutti i giorni, in cui a farla da padrone è la durezza dell’esistenza, con tutte le complicazioni del caso – relazionali, esistenziali, lavorative, ambientali – ma per sciogliere i nodi, poi, si ricorra a dei “luoghi comuni” (inteso proprio come situazioni ricorrenti) del cinema. E così, dopo aver messo le carte sul tavolo e aver lasciato intravedere una serie di direzioni possibili, Delta, come le famose caramelle di Harry Potter, le imbocca tutte più una, con l’ovvia conseguenza di perdersi. Iniziano allora ad accadere una serie di assurdità, succede che le autorità si mettano sulle tracce di un uomo con tutti i mezzi a disposizione, elicotteri e quant’altro, ma che a trovarlo siano solo i protagonisti (per ben due volte!), capita che un SPOILER! pluriomicida ricercato che si rifugia nel bosco si metta a urlare a squarciagola di notte, e, infine, capita che, braccato dalla polizia fino a una sponda del fiume, il fuggitivo ferito ed esausto trovi, pronto a raccoglierlo dall’altra parte, il suo nuovo nemico e non la polizia che appunto lo stava braccando e che sembra essersene dimenticata.
Insomma smettiamo presto di credere a Delta, ed è un peccato, perché oltre a un cast perfetto (menzione speciale per Greta Esposito, oltre a un Borghi fenomenale, ma questa non è una notizia) e una fotografia giustissima, Delta può contare su una colonna sonora di Teho Teardo meravigliosa come al solito. Vannucci dirige in modo ambizioso, è evidente che voglia fare un film di respiro internazionale, ma tutte queste componenti, di rilievo se prese singolarmente, non riescono a tenere in piedi un film che implode a causa della sceneggiatura, fino a un finale che assomiglia molto a una deriva.