Valia Santella ha scritto pellicole di successo come Il traditore (trionfatore l’anno scorso ai David di Donatello) e Fai bei sogni di Marco Bellocchio, Euforia di Valeria Golino, Mia madre di Nanni Moretti, Napoli velata di Ferzan Ozpetek. Una carriera svolta tutta sul campo, con una capacità maieutica rara che le ha permesso di tirar fuori i migliori film possibili dalla letteratura, ma anche dai registi che ha affiancato. Il suo ultimo lavoro è la sceneggiatura di Tre piani (qui il trailer), il nuovo film di Nanni Moretti tratto dall’omonimo romanzo dell’israeliano Eshkol Nevo, scritta con Federica Pontremoli e Nanni Moretti: nel cast lo stesso Moretti, Margherita Buy e Riccardo Scamarcio. I tre piani di un palazzo alle porte di Tel Aviv sono stati trasportati a Roma, come le tre famiglie borghesi protagoniste, per permetterci di scoprire che i tre piani dell’anima non sono dentro di noi, ma nello spazio tra noi e l’altro e nella difficoltà di raccontare delle storie che diventano tali solo se c’è qualcun altro ad ascoltarle.
So che è anche insegnante di sceneggiatura, con un approccio laboratoriale che sono certa sia stato molto apprezzato dai suoi studenti di Bobbio, e che sarà molto apprezzato anche nei suoi corsi futuri, come quelli che terrà alle Officine Mattòli. Cosa può dirmi di questa esperienza?
Sono arrivata alla scrittura cinematografica attraverso un percorso un po’ particolare. Ho iniziato prima a lavorare sul set, come segretaria di edizione e aiuto regista, poi ho firmato alcune regie e, infine, è arrivata la scrittura per altri. Sono sempre stata mossa dalla passione per il cinema, dalla curiosità e dalla voglia di imparare. Ancora oggi queste caratteristiche mi permettono di affrontare il mio lavoro con passione. Durante i corsi di sceneggiatura, dico sempre che io non ho regole o metodi da insegnare, ma, semplicemente, posso mettere la mia esperienza al servizio del lavoro che faremo insieme durante il corso.
Ha una routine, delle abitudini di scrittura? Le riunioni di sceneggiatura ora sono online ma dal vivo immagino che siano fatte da dinamiche molto diverse, da momenti morti, di decompressione.
Non ho una routine. Mi piace lavorare al mattino molto presto, ma ogni tanto mi capita di fare “nottata” come si faceva a scuola. Le riunioni online ci hanno in qualche modo salvato, nel senso che ci hanno permesso di non interrompere il dialogo con il gruppo di scrittura. Alla fin fine, soprattutto tra persone che si conoscono e hanno già lavorato insieme, le dinamiche non cambiano molto e si riesce a lavorare bene comunque. Il problema del lavoro online è che si tende a fare incontri, riunioni, appuntamenti a ciclo continuo, senza soluzione di continuità. Le pause, invece, sono molto importanti, spesso le idee arrivano proprio appena hai lasciato la riunione e stai prendendo l’autobus per tornare a casa. Non uscire più dalla propria casa ci porta a guardare sempre meno il mondo, e questo è gravissimo.
Nell’intervista ai David su Il traditore, Marco Bellocchio parla di una linea sottile tra la psicologia di un mafioso, come Tommaso Buscetta, e la nostra. Che lavoro compie per scrivere di un personaggio così controverso?
Lavorare a un film così importante come Il traditore è stata un’esperienza per me molto formativa. Abbiamo fatto un grande lavoro di ricerca per riuscire ad avvicinare un personaggio così scivoloso e lontano da noi. Da spettatrice non amo i film in cui gli autori prendono una distanza o giudicano i propri personaggi, ma qui la questione era diversa: non si voleva in nessun modo fare l’apologia di Buscetta. Quello che abbiamo provato a fare è stato da una parte cercare gli aspetti della sua vita e della sua personalità che fossero comprensibili a tutti, come il suo rapporto con i figli, con la moglie, con la sua famiglia d’origine e il grande tema del tradimento, dall’altra parte, però, abbiamo messo in evidenza tutte le colpe e i crimini commessi da Buscetta.
Verso il 2010 ha fatto parte del Maude – il Movimento delle lavoratrici dello spettacolo. Sono passati 10 anni, c’è stato il Me Too, ma le statistiche degli studi di genere mostrano un gender gap ancora profondissimo. Cosa ne pensa da professionista e attivista coinvolta?
Il cinema e l’industria cinematografica sono specchio della società che li produce. Se guardiamo le altre industrie italiane, culturali e non, ritroviamo gli stessi problemi. Credo che la questione sia molto profonda e vada affrontata su diversi piani. Da una parte bisogna fare un lavoro culturale che parte dalle scuole, dalle famiglie e dalle relazioni. Dall’altra realmente la politica deve garantire pari opportunità a tutte e tutti.
Eppure è riuscita a ritagliarsi uno spazio, a lavorare con registe come Valeria Golino e sceneggiatrici come Francesca Marciano e Federica Pontremoli: in che modo sono nate queste collaborazioni?
Lavoro con molte colleghe donne, anzi, forse lavoro più spesso con donne che con uomini, ma quante registe ci sono? Quante direttrici della fotografia? Nell’industria cinematografica questi due ruoli sono considerati ruoli di potere e di responsabilità e vengono affidati ancora troppo poco alle donne. Poi, per come la vedo io, il lavoro da fare è proprio quello di abbattere una certa idea del potere. Troppo spesso si ha ancora un’immagine del regista come un generale che deve comandare il set. Io credo, invece, che i film siano opere collettive, il regista è qualcuno che ha una visione del mondo, un punto di vista che propone ed elabora con i suoi collaboratori.
Nanni Moretti raccontava che all’inizio della sua carriera aspettava che uscissero le recensioni in edicola insieme a un amico, poi ha quasi smesso di leggerle e non ha mai replicato neanche a quelle che sembravano attacchi personali. Che rapporto ha lei con la critica?
Questa domanda apre un discorso molto ampio. Negli ultimi anni, la critica è andata via via sparendo dai quotidiani, e non parlo solo di quella cinematografica, ma anche di quella teatrale, letteraria. Nello stesso tempo sono proliferati blog e siti in cui possono trovarsi cose molto interessanti o molto banali. Diciamo che da spettatrice e lettrice tendo a leggere poco prima di vedere un film o leggere un libro, preferisco non sapere nulla. Rispetto ai film a cui lavoro reagisco in un modo molto prevedibile: sono felice quando se ne parla bene e dispiaciuta, o incazzata, se se ne parla male. Ci sono, però, alcune critiche negative che ti fanno ragionare sul tuo lavoro e, una volta superata la reazione emotiva, possono essere utili, anche se la ferita resta aperta. Bisogna pensare che noi dedichiamo molto tempo alla realizzazione di un film e, quindi, una critica negativa coinvolge non solo il tuo lavoro, ma un pezzo della tua vita.
La maggior parte delle sue sceneggiature sono degli adattamenti, partono dalla letteratura. Cosa deve avere un libro per colpirla e per spingerla a adattarlo?
Credo che gli adattamenti più riusciti siano quelli in cui è evidente l’incontro tra due mondi, due poetiche, due linguaggi. Nella trasposizione cinematografica di un libro molte cose cambiano, e devono cambiare, ma credo che quello che resta integro sia proprio il nucleo più profondo dell’opera di partenza. Pensiamo a un classico come Apocalypse Now rispetto al romanzo di Joseph Conrad Cuore di tenebra: diversi contesti storici ma il cuore del racconto è assolutamente lo stesso.
C’è un film o anche una sola scena alla quale è affezionata più di altre? Alla quale ripensa?
Mi capita di ripensare al lavoro che ho fatto precedentemente solo se ho un’occasione per farlo, come un incontro o una lezione, ma non in astratto. Sono affezionata a diversi lavori, anche perché sono legati alla mia vita e alle persone con cui li ho fatti. Più che a una singola scena sono molto legata alla struttura di Mia madre, di Nanni Moretti. È un film che si muove con molta libertà tra presente e passato, realtà, sogni, immaginazione e Moretti riesce a farlo senza che questi passaggi appaiano mai forzati o voluti.
So che non può dire molto, ma da lettrice di Eshkol Nevo ho qualche curiosità sull’adattamento. Come avete scelto Tre piani e cosa lo lega a Nanni Moretti e a lei?
In Tre piani c’è una grandissima tensione morale: i tre personaggi principali si trovano a vivere profondi conflitti etici. Il rigore etico, la responsabilità che ogni essere umano ha nel compiere le proprie scelte, sono temi che hanno sempre fatto parte del cinema di Nanni Moretti e hanno anche contraddistinto la sua partecipazione alla vita pubblica del nostro paese. L’incontro tra questo libro e Nanni è stato immediato.