Nelle sale “Solo per il weekend” con un quartetto di attori strepitosi

È il primo lungometraggio di Gianfranco Gaioni, giovane regista bresciano conosciuto a livello internazionale come Director Kobayashi, “mago degli affetti speciali” che ha realizzato spot per grandi nomi come Yamaha, Diesel, Toyota e tanti altri e che nel 2007 ha fondato la sua casa di produzione. Solo per il weekend, interamente ambientato a Milano, è una folle avventura notturna in cui il protagonista Aldo (Alessandro Roja), un aspirante scrittore strafatto di psicofarmaci che ha appena perso il suo posto di lavoro in un’agenzia di pubblicità, insieme ad altri bizzarri personaggi – intepretati da Stefano Fresi, Francesca Inaudi e Matilde Gioli – ne combinerà di tutti i colori.

Gianfranco, partiamo dalla fine: la distribuzione. In oltre mezzo pianeta sei considerato il mago degli effetti speciali per gli incredibili spot che realizzi. Il tuo ultimo spot però mette in vendita una bellissima Mercedes GLA 200 che in realtà è proprio la tua macchina. Raccontaci come mai questa geniale idea del carfunding.

Se non hai la possibilità di entrare in un canale di distribuzione tradizionale, piuttosto che tenersi un film per sé e non permettere a nessuno di vederlo, è giusto pensarle tutte. La prima alternativa che mi era venuta in mente era quella di fare un’altra campagna di crowdfunding, ma in Italia non funziona ancora molto, a meno che non sia una questione veramente seria o non ci sia un testimonial d’eccezione. Così ho pensato di finanziare una parte della distribuzione mettendo in vendita la mia macchina.

Ma la tua famiglia come l’ha presa?

Malissimo. Useremo di più la biciletta. Per fortuna abbiamo un’altra macchina, vecchissima, era la nostra macchina di scorta.

Le dimostrazioni del successo di pubblico sono state evidenti. È stato presentato al Festival di Montreal, alla Festa del Cinema di Roma e lo scorso marzo anche qui a Milano durante la XIV edizione del Cinema Italiano Festival. Dal pubblico non si può certo dire che tu non abbia avuto riscontri positivi.

Da un certo tipo di pubblico, sì. Solo per il weekend non è un film che piace a tutti, non è un film drammatico e non è tipicamente italiano come contenuti. C’è una fascia di persone a cui però piace molto, non so se definirli nerd o malati di cinema… Ma lo sapevo, è un film che abbiamo fatto perché piacesse a me e Giacomo Berdini – che l’ha scritto insieme me. L’idea era proprio creare una cosa originale e vedere se avesse funzionato. Siamo sicuri di non essere gli unici a cui piacciono film di questo tipo, anche se non è un genere stravisto.

solo per il we2Il film è frutto di esperienze personali, ci sono dentro tante citazioni di film, ma lo definirei anche una denuncia, un prendere dalle distanze da un mondo frustrante, falso e pieno di lati oscuri.

Sì, è proprio questa la chiave di lettura. Non c’è una comicità grossolana e accattivante di primo impatto, ma nel sotto testo ci sono tanti riferimenti e simboli, come ad esempio tutto il discorso sugli psicofarmaci, sulle dipendenze in generale, sui problemi economici della gente normale.

Io credo che piaccia alle persone perché in qualche modo è la storia di un uomo che si prende la sua rivincita, rappresentata, senza fare spoiler, dalla “strage” che Aldo commette nel suo ormai ex ufficio.

Io credo che chiunque abbia lavorato in un settore creativo, di scrittura pubblicitaria o cinematografica, si sia trovato almeno una volta in quella classica situazione in cui ti dicono di continuare a fare cose che non ti piacciono, e tu continui fino a che a un certo punto o smetti o, come nel caso di Aldo, impazzisci.

Parliamo degli attori. Tutti senza dubbio eccezionali, da Alessandro Roja e Stefano Fresi fino a Francesca Inaudi, passando per la meravigliosa Matilde Gioli, scoperta da Virzì ne Il capitale umano, impossibile definire esordiente visto che in un anno ha girato un numero incredibile di film.

Quando l’ho conosciuta al provino, nel luglio del 2014, Matilde aveva fatto solo Il capitale umano. Lei viene dal mondo dello sport a livello professionale perché faceva nuoto sincronizzato e secondo me quello le ha dato una disciplina, un modo di lavorare e una maturità fondamentale anche nel fare questo lavoro. Poi è di una freschezza naturale, è un talento puro. È stato bello il modo in cui gli altri attori le davano sempre consigli, anche se in realtà non ne avesse molto bisogno. È molto sicura e decisa, e credo sia proprio la formazione sportiva ad averla resa così forte anche a livello psicologico. Invece con Fresi, Roja e la Inaudi c’era da morir dal ridere continuamente. Sono stati fortissimi tutti quanti.


Ho letto da qualche parte che per te il regista è come “l’allenatore di una squadra”. Sicuro di non essere un regista hitchcockiano? Lasci spazio all’improvvisazione sul set?

Con tutti quanti gli attori del cast principale ho iniziato a lavorare già ancora prima di finire la sceneggiatura e li ho coinvolti davvero tanto sui testi, modificando le battute in base a ciò che ci sembrava più naturale dire. Durante le riprese poi dopo il secondo take buono lasciavo loro la possibilità di improvvisare. Fresi ad esempio è in grado di farti un’improvvisazione diversa per ogni take, anche se ne fai 15. Ad un certo punto non sapevo più come gestirlo perché c’era troppa roba fantastica.

Aldo, invece, in qualche modo sembrerebbe essere il tuo alter ego. Un ragazzo che in qualche modo ce la fa. Che riesce a lasciare un ambiente di lavoro che non lo stimola, che lo limita, per avventurarsi in qualcosa d’inaspettato che lo porterà poi a scrivere il suo primo romanzo. Casi come questo sono l’eccezione o la regola? Consiglieresti a un aspirante regista di provarci in Italia o di emigrare?

Credo sia difficile dappertutto: io però punterei a creare un film che sia fruibile molto facilmente anche all’estero. All’estero la difficoltà resta la stessa, a partire dalla lingua fino ai contatti. Non risolvi il problema andandotene, però fa bene cambiare aria. Io sono stato quasi 3 anni a Londra e questo mi è servito tantissimo. Si ha un’idea più ampia di quello che vuol dire lavorare nel cinema, si ha la possibilità di vedere set stranieri, io ho lavorato tanto non solo in Europa e America ma anche nei paesi dell’Est, in India e in ogni luogo s’impara qualcosa. E questo aiuta tanto.