Cosa succede se a trent’anni, dopo essere sempre stati all’interno di una relazione, ci si ritrova improvvisamente single? Da questa premessa parte Maschile singolare, opera prima di Giuseppe Paternò Raddusa (alla sceneggiatura), Matteo Pilati (sceneggiatore, regista e produttore) e di Alessandro Guida (sceneggiatore e regista) con con Giancarlo Commare, Eduardo Valdarnini, Gianmarco Saurino, Michela Giraud, Lorenzo Adorni. Un racconto frizzante, che tratta temi contemporanei attraverso una struttura classica, ma mai scontata. Maschile singolare, disponibile dal 4 giugno su Amazon Prime Video, è un film che fa commuovere e divertire il pubblico, ottenendo ottimi riscontri. Ne abbiamo parlato con i tre autori in una conversazione a più voci.
Come è nato il progetto?
Giuseppe Paternò Raddusa: L’idea era quella di colmare un vuoto della narrazione cinematografica, ovvero l’assenza di una storia classica con all’interno personaggi appartenenti alla comunità LGBTQ+. La maggioranza di noi è cresciuta guardando film impostati sul viaggio dell’eroe, con determinati archetipi, e il mio dubbio è stato: è possibile svecchiare questi archetipi, modernizzandoli e inserendoli nella sfera queer? A questo punto, ho scritto a Matteo e abbiamo iniziato a lavorare e a ragionare su una storia che potesse ben agganciarsi a questo tipo di narrazione. Abbiamo perciò deciso di partire da una situazione sempre presente in questa tipologia di racconto: l’abbandono da parte della persona amata. Arrivati a una prima stesura soddisfacente della sceneggiatura abbiamo deciso di coinvolgere Alessandro, che si è mostrato subito interessato.
Alessandro Guida: Sì, perché ho da subito pensato che il tema di fondo (essere single a trent’anni) fosse un’idea con un grande potenziale d’immedesimazione da parte del pubblico, ma allo stesso tempo poco esplorata nel cinema italiano. Quando ho letto la prima stesura ero a un matrimonio e mi sono reso conto che spesso le persone tendono ad associare l’essere single a quell’età come sinonimo di essere soli. Invece in Maschile singolare questo assunto viene scardinato dalle scoperte che Antonio fa mentre sta ricercando se stesso in un percorso paradossalmente all’incontrario rispetto al solito. Ci siamo messi subito al lavoro tutti insieme e Prime Video è stato fondamentale per portare a termine il progetto.
Matteo Pilati: In realtà non avevamo da subito pensato a Prime Video. Già in fase di sviluppo avevamo cercato delle case di produzione interessate, ma si sono tirate tutte indietro vedendo che eravamo degli esordienti per quanto riguardava i lungometraggi. In quel periodo, poi, in sintonia con il nostro protagonista, mi sono ritrovato a perdere anche io un punto fisso. Lavoravo per un’emittente televisiva, ma sono stato licenziato. Allora ho deciso di fare quello che per me era un rischio calcolato, ovvero investire la mia buona uscita in questo progetto. Ci siamo rimboccati le maniche e aiutati da MP Film (una casa di produzione piccola con cui avevano già collaborato Alessandro e Giuseppe), abbiamo iniziato a formare il cast, a fare numerose prove e poi abbiamo girato il film in tre settimane, tra il gennaio e il febbraio del 2020. Quando abbiamo finito la postproduzione, che abbiamo dovuto fare totalmente da remoto, abbiamo avuto ulteriori problemi a trovare una distribuzione perché, nonostante venisse riconosciuto il potenziale del film, il periodo attuale è ancora molto incerto per quanto riguarda le uscite in sala ed è qui che, come diceva Alessandro, siamo stati fortunati a trovarci in una situazione nuova rispetto a quella del mercato audiovisivo del passato, ovvero in cui piattaforme come Prime Video stanno dando sempre più spazio ai giovani e a progetti originali.
Uno dei motivi dell’originalità del film è proprio il porre al centro l’incertezza che caratterizza l’età di transizione che si vive tra i venti e i trent’anni. Come avete costruito il personaggio di Antonio?
Alessandro: Questo focus lo abbiamo reso anche con il montaggio, che è sempre una forma di riscrittura. Abbiamo deciso, infatti, che il montaggio dovesse ricalcare lo stato d’animo del protagonista. Si parte con uno stile più posato perché Antonio è in attesa, e successivamente le scene diventano più frenetiche perché ha una scossa a livello emotivo. Tutto il film è costruito sul suo protagonista anche a livello stilistico. Abbiamo adottato una regia invisibile, nascondendo orpelli tecnici e facendo muovere la macchina da presa solamente con il suo protagonista (non ci sono campi lunghi o dettagli), al fine di far partecipare di più lo spettatore con la sua vicenda, con il suo percorso e con le sue emozioni. Abbiamo lasciato tutto lo spazio alla mimica degli attori, lavorando di sottrazione.
Matteo: Esatto, una sottrazione che di fatto permea il film da tutti i punti di vista, anche nella scelta delle musiche. È stata una cifra stilistica deliberata che voleva mostrare, con la sua delicatezza e la sua semplicità, uno sguardo diverso dal solito e proprio per questo abbiamo lasciato fuoricampo i momenti salienti della storia o anche l’aspetto sessuale, ricalcando appunto le emozioni di Antonio e la sua educazione sentimentale.
Quali sono stati i cambi dalla carta allo schermo?
Giuseppe: Il personaggio di Luca, per esempio, è cambiato molto grazie al lavoro di Gianmarco Saurino (inizialmente il suo era un personaggio più frivolo, il classico maschio alfa che non s’innamora mai) e al suo stile di recitazione che ricalca il less is more. A lui basta uno sguardo per far capire tutto un mondo interiore con enorme lucidità.
Matteo: Un altro elemento che inizialmente non c’era in sceneggiatura, ma che è emerso durante le prove con gli attori, è quello della musica lirica, che è servita per rappresentare a pieno la sensualità e la libertà a cui auspica Antonio e che rivede in Denis. Nel finale, infatti, i mondi di Antonio e Denis collidono, e la musica d’opera diventa cantata in chiave moderna.