Rivoluzione digitale, eclissi della pellicola, affermazione della serialità, crisi delle sale, necessità di ristabilire la centralità di una fruizione cinematografica collettiva. Fabrique ha affrontato tutti questi temi cruciali per il futuro della settima arte con il grande direttore della fotografia italiano Luca Bigazzi.
Uno come Bigazzi non avrebbe bisogno di presentazioni. In oltre tre decenni di carriera ha lavorato con alcuni dei più importanti cineasti italiani (tra i tanti, Gianni Amelio, Paolo Virzì, Mario Martone, Carlo Mazzacurati, Silvio Soldini) e detiene il record di vittorie di David di Donatello per la migliore fotografia, ben sette. Inoltre, a partire da Le conseguenze dell’amore del 2004, il nostro è fido collaboratore di Paolo Sorrentino e nel 2017 per The Young Pope è stato anche il primo dop italiano ad essere nominato agli Emmy. Insomma, stiamo parlando di uno degli autori italiani della fotografia per il cinema in assoluto di maggior rilievo dagli anni Ottanta a oggi. Ciò che colpisce fin da subito di Luca Bigazzi quando si ha l’opportunità di conversare con lui sono la lucidità, la consapevolezza e la notevole capacità di articolare discorsi assai stimolanti in maniera chiara e diretta. L’intervista che segue ne è un’evidente conferma.
[questionIcon] Com’è cambiato il lavoro del direttore della fotografia con il passaggio dalla pellicola al digitale? Quali sono dal tuo punto di vista i vantaggi offerti da quest’ultimo?
[answerIcon] La fotografia digitale è ormai lo standard su cui lavoriamo tutti, a eccezione di alcune rare produzioni che usano ancora la pellicola. Paradossalmente, però, quando vado a vedere al cinema film girati in pellicola non riesco a capire se davvero sono stati realizzati in pellicola o in digitale. Eppure, facendo il mio mestiere da tanti anni, dovrei avere gli strumenti per capirlo al volo. La verità è che, dal punto di vista tecnico, il digitale è superiore su ogni piano perché è più elastico, manovrabile, leggero e offre un’infinità di possibilità creative, con innumerevoli opzioni di variazioni cromatiche. Girare in digitale oggi è non solo una necessità morale ed ecologica in quanto meno inquinante, ma rappresenta anche un grandissimo vantaggio sul piano squisitamente formale, toglie freni alla creatività e dà la possibilità di democratizzare il nostro lavoro aprendo ai giovani.
[questionIcon] Uno dei grandi punti di forza del digitale, in effetti, risiede nella sua economicità.
[answerIcon] Senz’altro, ma ci tengo a specificare una cosa a riguardo. Spesso sento dire che con il digitale si gira distrattamente, senza farsi tanti problemi, perché non bisogna stare attenti ad evitare di sprecare metri di costosa pellicola. Questo non è affatto vero. Il problema centrale del fare cinema non è mai stato davvero il costo della pellicola, ma il tempo, in assoluto la cosa più preziosa che si ha durante la lavorazione di un film. È il tempo il vero costo di una produzione cinematografica. Per cui non ha alcun fondamento il discorso secondo il quale se si gira in digitale allora ci si può permettere di ripetere la stessa inquadratura cinquanta volte, perché in questo modo i costi aumenterebbero vertiginosamente. Con il digitale, inoltre, oggi mi sento molto più libero di quando lavoravo con la pellicola poiché non sono più condizionato da evidenti limitazioni tecniche dovute al supporto.
[questionIcon] Perché in tanti ancora, tra registi di fama internazionale, addetti ai lavori e cinefili, rimpiangono la pellicola? La celluloide continuerà a convivere con il digitale?
[answerIcon] Dal mio punto di vista per la pellicola non c’è alcun futuro e il rimpianto per essa lo trovo abbastanza ridicolo. Si tratta di una scelta romantica, tecnicamente ingiustificata e retrograda: è come se oggi rimpiangessimo i motori a scoppio, il telefono a gettoni rispetto al cellulare o il fax rispetto alla mail. La rivoluzione digitale nel cinema è già arrivata e personalmente non ho alcun rammarico per questo: se mi facessero un’offerta obbligandomi a girare un film in pellicola, ringrazierei e rifiuterei. La scomparsa della celluloide non mi preoccupa per niente. Ciò che mi allarma, piuttosto, è un altro aspetto.
[questionIcon] Quale? Ha forse a che fare con la fruizione cinematografica?
[answerIcon] Esattamente. Sono molto preoccupato dall’idea che i film o le serie TV vengano visti sempre più in maniera individuale. Credo fermamente nell’importanza della visione collettiva delle opere audiovisive: solo in una sala insieme ad altri spettatori che non conosciamo, nel passaggio delle emozioni, delle vibrazioni, delle risate o del disappunto, può davvero avvenire la comprensione cinematografica. Tutto ciò ha anche un valore politico, nel senso che una comunità di persone isolate davanti ai propri computer, smartphone o schermi televisivi è molto più controllabile politicamente rispetto a una comunità che si riunisce, discute, che vede, pensa e sente collettivamente. In generale, sono convinto che l’empatia e la comunicazione non verbale tra le persone siano uno strumento fondamentale di conoscenza. In quanto forma creativa d’arte collettiva, il cinema va fruito collettivamente. Jean-Luc Godard diceva che per guardare lo schermo cinematografico bisogna alzare la testa. Se ci pensi, invece, per vedere un film in uno smartphone o in un tablet il capo lo devi abbassare. Quindi, alziamo la testa e vediamo i film insieme.
[questionIcon] Cosa pensi della prepotente affermazione della serialità televisiva? Qual è la strada da percorrere per restituire centralità alla sala cinematografica?
[answerIcon] Quella della serie mi sembra una forma espressiva molto interessante, perché permette agli autori di sfuggire alla rigidità dell’ora e mezza/due ore di durata, che alcune volte rappresenta un problema. Sono felice che ci sia la serialità. In questo contesto, bisogna concepire una nuova idea di sala cinematografica che si apra anche alle serie. Sono certo che molte serie potrebbero avere un grandissimo successo al cinema. Quando ad esempio alla Cineteca di Milano è stato proiettato tutto The Young Pope, la sala ogni sera era piena. I cinema devono essere concepiti come spazi di aggregazione sociale e devono offrire luoghi di ritrovo dove incontrarsi prima e dopo la proiezioni. Alla crisi delle vendite dei biglietti non si può rispondere aumentando i prezzi o creando il deserto culturale intorno alle sale, negando ad esempio la possibilità di organizzare iniziative pubbliche gratuite. Molti distributori ed esercenti purtroppo non si rendono conto che è anche grazie a queste ultime che si possono convincere persone ormai disinteressate all’esperienza della sala a tornare al cinema.