Interprete con una grande esperienza alle spalle, diviso tra teatro, cinema e televisione, Fabrizio Ferracane svela il duro lavoro dell’attore tra curiosità, passione e dedizione.
«L’attore è corruzione, bisogna sapersi corrompere per poter diventare qualcun altro». Le parole di Fabrizio Ferracane – classe ’75, sangue siciliano e cuore animato da un amore profondo per il mestiere dell’attore – uniscono sapienza, esperienza e umiltà creando il profilo di un professionista a tutto tondo. Dal teatro, passando per la televisione fino al cinema, è tra i protagonisti dell’ultimo film firmato da Marco Bellocchio Il traditore. Ferracane è un uomo totalmente disposto all’approfondimento e alla ricerca della sua arte e del suo personale modo di interpretare.
[questionIcon] Attore dalla tripla anima: cosa si prova a vivere l’esperienza teatrale, cinematografica e televisiva?
[answerIcon] Penso che l’attore debba ricevere e quindi anche aprirsi a più forme possibili. Parole come emozionare, verità, restituire, sono proprie del lavoro dell’attore che, per questo motivo, può diventare un mestiere molto interessante e significativo. In questa ricerca io mi pongo come mezzo. Cerco di abbracciare e indossare il personaggio che sto interpretando o le parole che sto usando, perché se ho sposato quel personaggio riconosco che c’è qualcosa che deve essere raccontato.
[questionIcon] Il traditore di Marco Bellocchio rappresenta il tuo ultimo lavoro cinematografico. Come ti sei avvicinato a un personaggio complesso come Pippo Calò?
[answerIcon] Le parole usate da Pippo Calò nel film sono le stesse del maxiprocesso, quindi ho dovuto ricostruire quel personaggio partendo da tutto quello che era stato già detto e fatto. Ho attinto ai miei ricordi personali sulla vicenda, perché da noi in Sicilia la storia è ancora molto viva. Mi sono mosso a partire dalla ricostruzione del quotidiano di questo personaggio, creando un gesto ricorrente che mi ridonasse la sua personalità – come la smorfia che faceva quando parlava o l’atto di sistemarsi la giacca. È stato quindi un lavoro sulla “compostezza” che è riuscito a creare l’esatta misura di tensione nel mio corpo adatta a portare sullo schermo Pippo Calò.
Non perdere il prossimo numero di Fabrique du Cinéma per poter leggere l’intervista completa.