Partito dalla sua New York, anzi, dal suo Bronx, Abel Ferrara ha scelto di vivere a Roma da tre anni. Così anche il suo cinema si è mescolato all’Italia. In particolare in Piazza Vittorio (qui il trailer ufficiale), documentario vivo e folcloristico, distribuito al cinema da Mariposa Cinematografica, Ferrara percorre le strade dell’Esquilino per comporre il ritratto complesso e sfaccettato di un quartiere che bolle tra immigrazione, cambiamenti culturali, piccole e grandi intolleranze e voglia di vivere contrapposta alla disperazione della povertà.
Il cinema di Ferrara resta fedele a sé stesso, non si scosta dall’urgenza di narrare storie appassionati di vinti o sognatori di vittorie. Qui la sua sceneggiatura diventa la strada, gli attori, la gente e dal perenne incrocio tra realtà e narrazione si scopre anche la sua corteccia più umana, comune a questi uomini e queste donne che da i cinque angoli del mondo popolano il quartiere più multiculturale di Roma. Anche Ferrara è a suo modo un immigrato. Ne abbiamo parlato con lui incontrandolo nella città eterna in occasione dell’uscita del film.
[questionIcon] In una vecchia canzone Sting diceva di essere un «English man in New York». Invece Abel Ferrara nel suo nuovo film si definisce un immigrato italo-americano a Roma.
[answerIcon] Sai, Roma è come New York. Molte delle persone non sono di là ma vengono da tante altri parti del mondo. Io sono tornato perché qui ci sono le mie radici, i miei nonni erano in Campania, a Sarno. Roma è una città molto moderna, ma vive molte difficoltà come il Sud Italia. Invece io provengo dal Bronx, che sta a New York ma ne è completamente diverso. Come Piazza Vittorio. In America c’è maggiore connessione tra le varie realtà, mentre qui in Europa c’è molta diversità. Sia tra le varie città come Roma, Barcellona o Sarajevo, sia all’interno delle stesse. Io vivo a Colle Oppio, vicinissimo a Piazza Vittorio, ma da me è già tutto molto diverso. Roma è molto variegata!
[questionIcon] In certi momenti del film si respira quasi quell’aria di frontiera, di scoperta della terra da parte dei nuovi arrivati che caratterizzava il racconto cinematografico del Far West, complice anche la colonna sonora.
[answerIcon] È vero. Infatti, per alcune sequenze ho scelto Do Re Mi di Woody Guthrie e sono molto d’accordo con questa interpretazione. Mi piace l’idea che scoperta e tensione vengono fuori da questo luogo. A volte ricordano proprio quel clima di frontiera di cui parli.
[questionIcon] Diverse persone intervistate da lei si sono messe a cantare. Un’ispirazione casuale o un popolo gioioso?
[answerIcon] Molti si sono messi a cantare, è vero, sempre spontaneamente. È stata una sorpresa anche per noi e si è ripetuta spesso. Sono quelle piccole cose che escono all’improvviso da una lavorazione e ti confermano che hai fatto le scelte giuste. Sono tanti i popoli di Piazza Vittorio, come dicevamo, e di gioia ce n’è per la nuova avventura in un altro paese, ma ci sono pure difficoltà e disperazione.
[questionIcon] Che idea si è fatto dell’integrazione in Italia?
[answerIcon] Nel mio film si parla proprio di questo. Ci sono persone che riescono a integrarsi, altre che non ci riescono. Abbiamo incontrato rifugiati, immigrati in cerca di fortuna in una situazione molto complessa ma fatta di storie uniche. Non c’è un immigrato tipico da definire, può essere approdato a Lampedusa come può provenire dal Sud, dalla Calabria o da altri posti. Quello che m’interessa sono le storie personali di queste persone straniere in una città. Volevo trovare i contenuti personali del loro vissuto. Non esiste un tipico immigrato. Non esiste un tipico italo-americano, come non esiste un tipico caffè. Qui a Roma cambiano di gusto persino da un bar all’altro, pensa!
[questionIcon] Che idea hanno gli americani di Roma e come vorrebbe che cambiasse il loro sguardo dopo Piazza Vittorio?
[answerIcon] Non ci sono americani nel film oltre me e Willem. Non so cosa pensi la gente, americani o meno, prima, durante o dopo aver visto i miei film, e non faccio film per cambiare il punto di vista di nessuno. Che siano americani o no. Io uso gli strumenti che il cinema mette a disposizione per cercare di scoprire altre verità, anzitutto per me stesso.
[questionIcon] Infatti al film partecipano come abitanti del quartiere anche Willem Dafoe e Matteo Garrone. Nei suoi progetti futuri ci sono anche collaborazioni con loro?
[answerIcon] Si, con Willem Dafoe. Gireremo Siberia tra Alto Adige e Piemonte, con Vivo Film. Invece Tommaso, di cui Willem è protagonista, lo abbiamo già finito di girare. In realtà poi è pronto anche The Projectionist, la storia di un immigrato cipriota a New York che ha fatto gavetta come proiezionista nei cinema e poi ha fatto fortuna diventando uno dei più importanti esercenti della città. Eh sì, è un periodo pieno di cose!