
Regista e sceneggiatrice di base a Londra, Alessandra Gonnella ha iniziato il suo cammino con un cortometraggio ambizioso su Oriana Fallaci, la celebre giornalista italiana che raccontò la seconda metà del novecento intervistando alcune tra le più importanti personalità di cinema e politica internazionale. A Cup Of Coffee With Marilyn, ambientato negli anni ’50, vedeva già Miriam Leone nei panni della giornalista fiorentina, che alle prime armi si avventurò in un viaggio americano alla ricerca spasmodica di Marilyn Monroe per intervistarla. Il corto del 2019 si è aggiudicato il Nastro d’Argento, e successivamente è evoluto in un progetto per una serie tv presentato alla Festa del Cinema di Roma, più precisamente al MIA Market, e premiato come Miglior pitch seriale. Anche Alessandra ha iniziato a rincorrere i suoi sogni fuori dall’Italia. «Mi sono innamorata di Londra a 11 anni, al mio primo viaggio studio, e da lì è stato un unire i puntini su quella che ho sempre percepito come casa mia». Gli studi di cinema alla MetFilm School e la National Film and Television School, equivalente al nostro Centro Sperimentale, sono alla base della sua formazione, ma su questa ragazza e la sua idea Paramount ha scommesso, insieme a RedString e Minerva Pictures, sulla produzione di una serie in onda su RaiUno, e già passata nelle tivù di Spagna, Israele, Sudafrica, Grecia, Islanda e Australia. «Spero esca presto anche in Gran Bretagna, così la vedranno tante persone che conosco lì e mi chiedono sempre». Miss Fallaci è una serie in 8 episodi, diretti da Luca Ribuoli, Giacomo Martelli, e appunto da Alessandra Gonnella, che ha firmato la sceneggiatura insieme a un nutrito gruppo di autori, tra i quali la stessa Leone e la head writer Viola Rispoli.
Nasci come regista e sceneggiatrice, poi l’ideazione di Miss Fallaci. Quasi una showrunner.
Io ho ideato tutta la serie, che poi deriva dal mio corto e ho sceneggiato e diretto una puntata. Diciamo che ho un ruolo fondamentale fin dalla genesi del progetto, ma non sono showrunner. C’erano un advisor e un head director, ma non ero il capo di questi due dipartimenti. All’epoca avevo solo 25 anni e il network ha affidato quel ruolo, giustamente, a persone più senior di me. Quindi figuro come ideatrice di Miss Fallaci, ma non showrunner.
Cosa ti ha colpita di più su Oriana Fallaci per portarti a farne un corto prima e una serie poi?
Ho iniziato a leggerla al liceo, con Il sesso inutile, sul reportage che aveva fatto negli anni ’60 intorno alla condizione femminile. Ero rimasta folgorata dalla storia e dalla sua scrittura. Più approfondivo con altri libri, articoli e note biografiche, più mi rendevo conto che la sua vita era come un film. Il suo racconto era proprio cinematic, molto visivo. Così già da quei tempi avrei voluto raccontare sullo schermo una delle sue storie. E iniziai alla scuola di cinema di Londra, con un primo compito su Oriana e Il sesso inutile. Così poi sono arrivati il cortometraggio, e adesso la serie.
Riguardo alle ambientazioni sei molto vicina alla visione felliniana del ricostruire ogni luogo e realtà semplicemente sul set. Com’è andata con una creatura molto più grande e complessa del corto iniziale?
Ho trovato in realtà molti parallelismi. Anche nel 2019, per il corto, giravamo a Londra e con pochi mezzi fingendo che fosse la New York degli anni ’50. Le stesse sfide le abbiamo vissute sulla serie quando abbiamo capito che dovevamo girare tutto in Italia, anche le scene americane. Così abbiamo ricreato quell’epoca a Roma e dintorni. Però alcune scene londinesi esterne le abbiamo girate negli studi cinematografici di Sofia, in Bulgaria. Per fortuna! Perché fingere di stare a Londra da Roma era impossibile. Molto difficile ma anche molto divertente è stato coordinare organicamente i reparti di regia, fotografia con Ivan Casalgrandi, i costumi con Eva Coen, e scenografia con Paolo Bonfini. Con tutti loro abbiam fatto del nostro meglio per dare questo vibe un po’ anglosassone anni ’50, un po’ alla Mrs. Maisel.
E sul lavoro con il cast, in primis con Miriam Leone, rispetto a personaggi realmente esistiti che tipo di approccio documentale e interpretativo avete utilizzato?
È stato un grande lavoro di ricerca e scoperta, e la cosa bella è stata l’identificazione di molti nella sua versione giovanile. Ognuno ha una propria visione emotiva di Oriana, ma a livello universale raccontiamo una ragazza che deve lottare, fastidiosa come una zanzara, per arrivare ai suoi obiettivi. In questi giorni pensavo al fatto che sua madre la spronava a studiare ed emanciparsi, viaggiare, lavorare e mantenersi da sola. Miriam ha apportato una disponibilità e un’immersione totali. È stata con noi sul set per 12 ore al giorno, tutti i giorni, per sei mesi.

In quegli anni ancora non si parlava di femminismo, ma Oriana Fallaci lo praticava. E oggi forse inizia ad essere messo in pratica. Pensi si possa dire?
Si, anche se sembra scontato oggi per molte di noi. Ci sono ancora molte altre che non riconoscono ancora il valore assoluto dell’indipendenza economica e intellettuale. O a volte capita di nascondersi in una comfort zone fatta di vita relazionale soccombendo a situazioni spiacevoli proprio perché non indipendenti economicamente. Il concetto di viaggiare e lavorare non ha mai lasciato Oriana, ed è uno dei cardini della nostra storia.
Fallaci era una giovanissima giornalista promettente che ha dovuto lottare per avere la sua chance. Tu adesso hai trent’anni, quanto hai dovuto lottare per conquistarti la produzione di questa serie?
Abbastanza. Anche se col corto è come se fossi arrivata un po’ di traverso. Mi pare che il commediografo americano Tyler Perry descrivesse la film industry come un negozio chiuso dove non puoi entrare da una porta perché è chiusa o non c’è, quindi devi irrompere in questo negozio. Io l’ho fatto con il corto, ma non sapevo che avrebbe sortito questo effetto, intendo lo sviluppo che è seguito. Grazie anche a Miriam e al nome della Fallaci si è iniziato a parlare molto del corto. Così dopo le prime curiosità su questa venticinquenne italiana che viveva a Londra, ho iniziato a sedermi ai tavoli, hanno iniziato a cercarmi gli agenti, e si è smosso un po’ tutto. Avevo convinto Miriam, vinto un Nastro e il MIA, ma non potevo comunque reggere tutto il progetto da sola, cosa mai successa in precedenza a un professionista così giovane. Però c’è stata la volontà di farmi crescere all’interno del progetto ritagliandomi il mio ruolo di sceneggiatrice e regista. E poi se ci dovesse esserci un’altra stagione, magari evolverà anche il mio ruolo.
Siete tre registi a dirigere gli 8 episodi. E tu ne hai uno.
Sì, il mio è il sesto e va in onda il 4 marzo. Sarà uno spartiacque, il più intimo sulla vita personale di Oriana e ruoterà su cose mai mostrate di lei.
Nel senso che non sono mai state messe in scena né documentate, o sono già note in qualche modo?
Messe in scena sicuramente no, ma molta della nostra documentazione si rifà alla biografia Una donna, di Cristina De Stefano, che aveva fatto ricerca parlando anche con un nipote di Oriana Fallaci. Oltre al pubblico generalista, che non può sapere le cose che stiamo mettendo in scena, ci sono gli esperti lettori molto attaccati alla biografia, che ho scoperto dai social. Loro parlano di Oriana come se l’avessero conosciuta, e m’interessano molto anche i loro pareri puntigliosi. Nelle prossime puntate credo daremo delle sorprese sulla sua vita, ma abbiamo preso tutto da una corposa documentazione. Spero che le persone si lascino trasportare e stupire dal racconto, perché abbiamo cercato di indagare la persona oltre al personaggio.
Come sono state assegnate le regie degli episodi tra voi tre?
Luca è entrato subito nel progetto impostando la serie con la direzione dei primi quattro episodi, Giacomo ha preso la seconda metà lasciando a me il sesto, dove ci sono molti twist emotivi importanti, come dicevamo. Su una serie è necessario mantenere sempre una certa visione d’insieme perché si tratta di un progetto lungo, complesso e snodato nel tempo. Molti cambi di cast, sceneggiatura, di location, dove si parlava sia in inglese che in italiano. Non basta la visione artistica, devi essere una persona di polso, che sa prevedere certe cose, veloce nel fare scelte giuste sul tempo e su cosa tagliare. Quindi bisogna avere una visione d’insieme molto articolata.
Oriana era ossessionata dall’intervista che doveva fare a Marilyn. Cosa ossessiona Alessandra Gonnella?
Tante cose! Perché sono un po’ come Oriana, una persona molto ossessiva! Una persona che mette passione in quello che fa, ne conosco tante persone così, e trovo questo aspetto affascinante quando lo trovo negli altri. Adesso la mia ossessione è fare il primo film. Per ora non riesco a vedere oltre la mia opera prima cinematografica.
Infatti ora quali saranno i tuoi programmi tra scrittura e set?
Ho tanti progetti nel paniere, effettivamente. Ad esempio mi sto dilettando con la scrittura di stand-up comedy, ho iniziato a esibirmi a Londra, e un giorno chissà se potrò diventare anche una stand-up comedian. Forse l’universo mi guiderà, ma intanto cerco di mantenermi determinata su questa romantic comedy tra Londra e l’Italia, vorrei diventasse la mia opera prima. Mi piace l’idea di coniugare due mondi, due sistemi diversi, anche produttivi, che conosco, ho vissuto e sto vivendo. Ma per ora non posso dirne di più.