Nonostante la giovane età, Alessandro D’Ambrosi si divide ormai da un decennio tra televisione, cinema, teatro, serie web e pubblicità. Nella nostra chiacchierata, ci svela la sua ricetta per provare ad andare avanti nel mondo dello spettacolo: unirsi in gruppo e condividere i propri progetti.
Noto al grande pubblico televisivo per essere dal 2009 il volto del dottor Davide Orsini di Un medico in famiglia, il ventottenne romano Alessandro D’Ambrosi ha iniziato a lavorare molto presto, appena finito il liceo, con la conduzione per tre stagioni consecutive del programma per bambini di RaiSat Ragazzi “Giga”. Dopo aver frequentato diversi seminari e workshop intensivi di recitazione, laboratori teatrali di scrittura e analisi del testo, negli anni ha lavorato come attore, sceneggiatore, regista, autore. Persino come insegnante di un corso di filmmaking per i liceali dell’Istituto Massimo di Roma. Nel 2007 ha fondato insieme a Santa De Santis l’associazione “Ali di Sale”, attraverso la quale produce alcuni dei suoi numerosi progetti. Ed è in questo contesto che è nato Nostos (2012), dramma onirico ambientato nella seconda guerra mondiale all’indomani dell’8 settembre. Interpretato da Corrado Fortuna, il cortometraggio è stato scritto, diretto, prodotto da Alessandro e Santa, che abbiamo incontrato nella loro casa di Trastevere, dove vivono e lavorano in compagnia di un mite e pigro gatto grigio.
Come nasce l’idea di Nostos?
Io e Santa ci siamo ritrovati nei luoghi in cui poi avremmo girato il corto, Sant’Angelo a Fasanella, i Monti Alburni e il Parco Nazionale del Cilento, grazie all’invito di un piccolo festival organizzato da un nostro amico. Lì sono emerse le storie di uomini di quelle terre che, dopo l’armistizio, avevano iniziato un lungo viaggio lungo l’Italia per tornare a casa. Quei luoghi e alcune di queste esperienze raccontateci, uniti alla volontà di privilegiare un’ambientazione naturalistica, ci hanno spinti a sviluppare la storia di Nostos, il cui soggetto è stato scritto di getto, in un’ora e mezza, su un foglietto di carta. Volevamo affrontare i temi del viaggio e del dolore che ogni guerra comporta, lavorando oltre i limiti imposti da una rappresentazione realistica.
Sul piano formale mi ha molto colpito l’uso che fate nel corto delle dissolvenze e dei simboli, proprio per sottolinearne la forte dimensione onirica.
Ci piaceva l’idea, nel legare una scena all’altra, di ricorrere alla dissolvenza per esprimere quella rarefazione dei confini che è tipica dei sogni. E anche il simbolo, inteso come rimando e figura di mediazione, è stato senz’altro un elemento fondamentale nel nostro processo di scrittura.
Aggiunge Santa: «In effetti abbiamo lavorato molto sui simboli e sulle dissolvenze con incroci di piani e situazioni. In una delle prime scene il protagonista, subito dopo l’atto catartico del bagno nella vasca e quello purificatore del taglio della barba, spara alla porta convinto che un nemico stia per entrare. Quello che sta facendo, in realtà, è rimandare il proprio risveglio che non vuole ancora affrontare. E alla scena successiva dell’incontro con la donna, ci si arriva attraverso un passaggio in dissolvenza dalla luce che entra dal buco nella porta, causato dallo sparo, all’immagine del sole che illumina l’ambiente naturale. Trovo che i simboli siano importantissimi nel cinema, in quanto permettono di lavorare su più livelli di interpretazione e arrivano alla pancia del pubblico anche se non si riesce a decifrarli immediatamente».
Dopo il successo di Nostos, proiettato in oltre 150 festival di cortometraggi di tutto il mondo e vincitore di molti premi, quali sono i prossimi progetti?
I progetti in cantiere sono molti. Abbiamo vinto un bando dell’IMAIE con il corto Buffet, una parodia grottesca sull’Italia di oggi che dirigeremo con Santa. Faranno parte del cast ben venticinque attori, tra cui Vittorio Viviani e Augusto Zucchi. C’è inoltre un altro progetto che seguiremo come registi, ideato da Francesco Maria Cordella, che racconta la vera storia del rapporto tra Mussolini e Nenni quando entrambi si trovarono in esilio a Ponza. Stiamo scrivendo anche un lungometraggio, una commedia surreale su un precario e cinque fantasmi del Verano il cui titolo provvisorio è R.I.P. Poi c’è un altro film al quale siamo molto affezionati, sul mondo degli ipovedenti e dei non vedenti, che dovrebbe intitolarsi Fin dove arriva lo sguardo. È la storia di tre universitari che convivono e che, per evitare uno sfratto, fanno in modo che uno di loro si finga cieco. Si tratta di una commedia degli equivoci sulla precarietà prima di tutto affettiva, oltre che abitativa ed economica, sulla difficoltà di trovare il proprio posto nel mondo e sulla necessità di cercarselo.
Per i giovani oggi lavorare nel mondo del cinema è senz’altro complicato. Qual è il modo migliore per tentare di ovviare alle molte difficoltà che si incontrano se si vuole realizzare le proprie idee?
La creatività e il talento si sprigionano soprattutto in atmosfere in cui ci si sente liberi, capiti e protetti. In Italia mancano strutture che proteggano e stimolino questi contesti; ciò può scoraggiare e induce molti professionisti che meriterebbero tutta la fortuna del mondo a mollare, dopo anni di delusioni e frustrazioni. Io e Santa per realizzare Nostos ci siamo dovuti occupare, oltre che della scrittura e della regia, anche della ricerca di finanziamenti e della produzione. Da soli non ce l’avremmo mai fatta, ci siamo riusciti solo sostenendoci a vicenda. Per ovviare alla mancanza di adeguate strutture di sostegno, sia statali che private, diventa essenziale incentivare la formazione di gruppi di lavoro composti da persone di cui ci si fida e che si stima, con cui respirare una comunità di intenti e condividere i propri progetti per promuoverli e realizzarli tutti insieme, scambiandosi anche di ruolo di progetto in progetto.