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Giovanni Ardizzone

Project Galileo: il videogioco made in Italy che sfida gli studi internazionali

Al contrario di quello che si potrebbe pensare, il mercato dei videogiochi in Italia si è rivelato, e si sta rivelando negli ultimi anni, sempre più florido. Lo studio tripla A di Ubisoft Milano, in collaborazione con Ubisoft Parigi, si fregia nientemeno che dei personaggi storici di Nintendo nel loro imminente strategico Mario + Rabbids: Spark of Hope, seguito del fortunato Mario + Rabbids: Kingdom Battle del 2018. Emergono artisti indipendenti come il catanese Chris Darril, nome d’arte di Mario Christopher Darril Valenti, che si è fatto conoscere anche all’estero grazie ai due survival horror Remothered: Tormented Fathers e Remothered: Broken Porcelain, ispirati a giochi come la serie Silent Hill o Rule of Rose. Inoltre, il team milanese Reply Game Studios si è imbarcato nello sviluppo di un titolo hack & slash con il suo Soulstice, in uscita a settembre, prendendo spunto da classici del genere come la serie Devil May Cry o da prodotti di culto come NieR: Automata.

Sono ancora pochi però i prodotti italiani che attingono dalla storia e dal folklore del nostro paese, e sono ancora meno quelli che prendono questi elementi e tentano di rielaborarli in un’esperienza nuova e immersiva. In questa nicchia ancora poco esplorata si inserisce il team milanese di Jyamma Games con il loro Project Galileo, un interessante progetto appartenente al genere sempre più popolare dei Souls-Like, un genere di action-rpg (role-playing game) misti a Rogue-Like inventato dallo studio From Software con Demon’s Souls. I suoi principali punti di forza sono uno stile di gioco che rielabora le dinamiche del Flos Duellatorum, un manuale di scherma del XV secolo, e, soprattutto, un’ambientazione che prende a piene mani dal folklore e dalla cultura italiana per creare un mondo fantastico originale. In Project Galileo, la magia del continente di Enotria è stata intrappolata da una misteriosa forza chiamata il Canovaccio, e il mondo, di conseguenza, ha iniziato lentamente a degradarsi fino a uno stato di stagnazione, diventando un guscio vuoto di ciò che era un tempo. Starà al giocatore scoprire i misteri di questa terra e riportarla al suo antico splendore. Abbiamo avuto l’opportunità di parlare con il CEO e Founder di Jyamma Games, Giacomo Greco, e il direttore creativo ed artistico, Francesco Abbonizio, per fare più luce su questo interessante progetto completamente made in Italy attualmente in lavorazione.

Com’è nata Jyamma Games? Cosa vi ha spinto a entrare nel mercato dei videogiochi?

Greco: Siamo nati nel luglio del 2019 come una piccola azienda di nove membri che produceva giochi mobile. Abbiamo prodotto quattro giochi nel corso di un anno e mezzo, che hanno raggiunto più di 700.000 download complessivi. A quel punto abbiamo deciso di fare un passo importante e di realizzare un progetto per pc e console. Nel frattempo, il numero dei membri del team è raddoppiato e, anche grazie al passaparola, sono entrati a far parte dello studio dei talenti che avevano lavorato a titoli tripla A all’estero, come il nostro Francesco. Oggi siamo più di cinquanta membri.

Dopo aver sviluppato i vostri primi progetti, come siete arrivati all’idea di sviluppare un Souls-Like, un genere di action-rpg famoso per la sua complessità?

Greco: Abbiamo fatto dei lunghi briefing per capire cosa potesse calzare di più con quello che stavamo facendo. L’idea iniziale era quella di lavorare ad un action-rpg più tradizionale, ma durante lo sviluppo ci siamo accorti che sono pochi i giochi Souls-Like di qualità che vengono sviluppati da team occidentali indipendenti. È un tipo di prodotto difficile da realizzare, ma con i talenti che avevamo con noi sapevamo che c’erano le capacità per realizzare un gioco valido, anche vista la passione che tutti all’interno del team abbiamo per il genere in questione. Oggi il progetto è più grande di quello che pensavamo. Vogliamo seguire le orme di From Software incrociandoci con il folklore italiano in modo non stereotipato, rappresentandolo similmente a come la serie di The Witcher ha rappresentato la cultura slava.

Project Galileo

L’ambientazione marcatamente fantasy di Project Galileo richiama molti aspetti architettonici e artistici del nostro paese. Oltre allo studio fatto su questi elementi, ci sono state delle opere significative – libri, film o videogiochi – che vi hanno ispirato durante la fase di concettualizzazione del mondo di gioco?

Abbonizio: Parlando di media moderni è stato d’ispirazione il film Ladyhawke di Richard Donner, soprattutto per le ambientazioni girate al castello di Rocca Calascio in Abruzzo. È stato uno dei primi film fantasy che riconosceva il potenziale dell’Italia come cornice per ambientazioni evocative in un contesto fantastico originale. Allo stesso modo, anche la serie di videogiochi di Ubisoft Assassin’s Creed, in particolare il secondo capitolo, ha offerto molteplici spunti. Un altro punto di riferimento importante è stato il videogioco A Plague Tale: Innocence di Asobo Studio, che valorizza il contesto storico della Francia meridionale durante la Guerra dei Cent’anni, ma aggiunge un sostrato narrativo fantastico. Inoltre, rimane interessante poiché creato da uno studio piccolo di 60 persone, che ha comunque sviluppato un gioco AA massiccio. Anche Greedfall del team Spiders è stato fonte d’ispirazione: il gioco ha un’ambientazione fantasy che si rifà al XVII secolo. Ad esempio, la città di Sérène, la prima esplorabile dal giocatore, riprende aspetti della Lisbona precoloniale ed elementi delle repubbliche marinare.

Visto l’enorme lavoro fatto sulla parte estetica del gioco, c’è da aspettarsi una simile cura anche sugli effetti audio e sulla colonna sonora?

A: Aram Shahbazians, il nostro audio-director e compositore, sta lavorando con musicisti di strumenti tradizionali. Tutte le sessioni di registrazione sono fatte dal vero, anche vista la scarsità di librerie sintetiche degli strumenti tradizionali. Teniamo molto all’autenticità del suono, tanto che un’idea, in realtà poi scartata, era di contattare un fabbro sardo che forgiasse dei campanacci per ricreare il sound specifico dei Mamuthones del carnevale sardo. Aram ha registrato tutte le librerie di suoni delle cicale del centro Italia, per rendere le sonorità di un paesaggio di pini marittimi. Inoltre, molti dei nemici del gioco sono doppiati per dare l’idea di un mondo vivo che reagisce alla presenza del giocatore.

Project GalileoIl genere dei Souls-Like è spesso associato a narrative frammentate ed enigmatiche, che volutamente spiegano poco o nulla al giocatore in modo diretto. Ci sono tuttavia degli esponenti del genere, come i capitoli della serie Nioh del Team Ninja, che invece raccontano una trama più lineare. Verso quali dei due estremi si muove maggiormente l’anima da “Summer Souls” di Project Galileo?

A: Siamo consapevoli dei nostri punti di debolezza. Non abbiamo il cult following di From Software, quindi non è detto che i giocatori scavino così a fondo nella storia del mondo di gioco. Oltretutto non abbiamo neanche le risorse per fare un’esperienza cinematica simile a giochi del calibro di God of War. Possiamo dire che la trama ha la stessa densità di filmati di un Souls, quindi quel tanto che basta a dare un contesto al mondo che si esplora. Ci saranno delle testimonianze scritte da collezionare che permetteranno di unire i tasselli in un modo meno criptico rispetto a quanto i classici del genere hanno abituato. Far in modo che il giocatore si affezioni al mondo di gioco mentre lo esplora è una nostra priorità.

Avete parlato in altre sedi della natura da AA+ del progetto. Quali sono le difficoltà di sviluppare un videogioco indipendente di questa portata in Italia? Pensate di aver trovato un buon equilibrio all’interno del team?

A: Io ho lavorato come Technical Artist all’estero, cosa che mi ha permesso, quando sono diventato direttore artistico, di aiutare il team a non perdersi nell’ambito puramente creativo. Qualsiasi feature va valutata in base al rapporto “costi – ricavi”, ma siamo più che disposti a fare quel passo in più se notiamo che qualcosa può arricchire l’esperienza.

G: Il termine AA+ lo usiamo per indicare uno sforzo produttivo superiore a quello di un team indipendente, ma senza il supporto finanziario che c’è alle spalle di uno studio importante. È impossibile per un team del genere rifinire le meccaniche secondarie allo stesso modo di quelle principali, ma non è neanche detto che con fondi illimitati esca fuori un prodotto di qualità. Preferiamo concentrarci su un gioco denso che duri tra le 10 e le 15 ore piuttosto che su un open world, oltre al fatto che la rigiocabilità è garantita dal New Game + e dal fatto che nel corso del tempo Project Galileo verrà espanso con dei DLC.  I feedback riscontrati da chi ha provato il gioco sono stati molto positivi e tutti i director del team si sono stupiti della capacità produttiva dello studio, considerando che la build attuale viene da nove mesi di sviluppo. Abbiamo fatto cose, tra cui il cambio di motore grafico da Unity ad Unreal Engine, che sono atipiche per un gioco indie, e questa è un’ulteriore dimostrazione della forza del gruppo. Abbiamo una visione dell’azienda più moderna rispetto a molte altre aziende nostrane. Oggi bisogna ragionare in modo diverso se si vuole avere qualcosa in più degli altri.

Project Galileo non ha ancora una finestra di lancio, ma gli sviluppatori hanno confermato che arriverà “prima di quanto pensato”, e hanno rilasciato di recente un nuovo trailer che mostra le evocative ambientazioni di Enotria. Non ci resta che aspettare e vedere ciò che hanno in serbo per noi!

 

Resurrection Corporation, l’animazione “in nero”

Omaggio al Dottor Caligari, a 100 anni dal capolavoro espressionista

La lavorazione di Resurrection Corporation, film d’animazione molto sui generis, ha richiesto oltre quattro anni, partendo dalla lunga gestione del soggetto e della sceneggiatura fino al complesso lavoro di character design e animazione, realizzati con tre software differenti (grafica, lip sinc e body animation). Al primo passaggio di lavorazione, ne è seguito un secondo mirato a raffinare i movimenti e le luci fino alla fase di post produzione in cui sono susseguiti doppiaggio, sonoro, colonna sonora e montaggio.

Bastano pochi frame, con l’uso del bianco e nero, l’animazione spigolosa e le inquadrature statiche per capire che il film derivi i suoi elementi più caratteristici dall’espressionismo tedesco: anzi, si può dire che Resurrection Corporation sia l’omaggio a che il regista Alberto Genovese e lo sceneggiatore Mattia de Pascali hanno voluto fare alla pietra miliare di quel cinema, ovvero Il gabinetto del dottor Caligari di Robert Wiene, che proprio quest’anno compie giusto cento anni.

Umorismo macabro

La trama ha quel giusto grado di umorismo black che si addice ai modelli di riferimento: Caligari è un becchino che non ha più lavoro da quando la morte stessa è stata bandita dalla città, soppiantata da un metodo pratico di… resurrezione.

Quali sono state le vostre principali ispirazioni, a parte naturalmente Wiene?

Mattia Intanto in Resurrection Corporation c’è il mesmerismo [una specie di ipnotismo in voga nell’Ottocento, ndr]: nelle intenzioni di Alberto la tematica avrebbe dovuto essere anche più presente, comunque abbiamo attinto a La verità sul caso di Mr. Valdemar, il classico di Edgar A. Poe. Per quanto riguarda la cultura nazionale, non saprei indicare un modello di riferimento conscio. Di italico ci sono solo due o tre conoscenze in comune tra me e Alberto che abbiamo usato per immaginare alcuni personaggi del film…

Alberto: Sì, confermo che il leitmotiv che ha dato la spinta al film è il racconto di Poe; poi per il resto, quando penso a qualche prodotto italiano che mi ha ispirato, mi vengono in mente I tre volti della paura di Mario Bava e Contronatura di Antonio Margheriti; ma c’è anche tanto cinema classico, partendo appunto dal capolavoro di Wiene fino a La sposa di Frankenstein di James Whale.

Uno dei richiami stilistici più forti al dottor Caligari (oltre il nome) sono proprio le architetture della città. Il castello invece si ispira, suppongo, al Nosferatu di Murnau. Quali altri omaggi si nascondono nel film?

Mattia: Tutte le citazioni dal punto di vista grafico sono merito di Alberto, che mi parlava di espressionismo prima ancora che scrivessi una sola riga di soggetto. Nonostante il nome del protagonista, non ci siamo focalizzati unicamente sull’opera di Wiene, ma abbiamo guardato anche ai classici della Universal e ai Maghi del terrore di Roger Corman come ulteriore punto di riferimento. Se esistono altri omaggi non sono intenzionali, ma nascono spontaneamente; fatta eccezione per il nome di un personaggio, la signorina Freudstein, che è un rimando a un classico di Fulci. Comunque nulla di particolarmente cerebrale. Mi serviva un nome ed è il primo che mi è venuto in mente.

Alberto: Se si guarda attentamente, in Resurrection Corporation ho disseminato vecchi poster del cinema muto, da Nosferatu – esatto – a Vampyr di Carl Theodor Dreyer, passando anche per l’Urlo di Munch; naturalmente queste sono le citazioni più esplicite, ma c’è un immenso immaginario cinematografico nel film, anche per quanto riguarda i maestri del gotico italiano come Bava o Margheriti.

Guardando Resurrection si ha l’impressione di una commistione eterogenea di generi.

Mattia: Sicuramente era voluto che fosse un film d’animazione a tema horror con toni da commedia grottesca. Qualche altro spunto potrebbe rimandare alla fantascienza, ma non era nostra intenzione inserire quanti più generi possibili. O meglio, non ci siamo mai interrogati su questo punto, abbiamo sempre discusso della storia. È stata la narrazione a spingerci sui terreni più consoni.

Alberto: Mi è sempre piaciuto mescolare i generi, anche nelle mie prove cinematografiche precedenti come L’invasione degli astronazi che misceleva horror, fantascienza, spy story e commedia; Dolcezza extrema invece era un melting pot tra cinema di animazione (con i pupazzi di stoffa sullo stile di Meet The Feebles di Peter Jackson), horror, commedia e grottesco anni Ottanta. Credo che il cinema non possa sottostare a limiti di genere se vuole esprimere veramente qualcosa.

Qual è la cosa di cui siete più fieri riguardo alla produzione del film?

Mattia: Lavorare per anni su qualcosa di estremamente originale e vederlo finalmente completo ti rende orgoglioso. Ma con l’autocompiacimento bisogna sempre andare cauti. I motivi di fierezza è giusto che ti vengano donati da un pubblico.

Alberto: Il superamento di una sfida titanica come realizzare un film d’animazione con un budget ridottissimo è sicuramente un bel traguardo, se poi, come spero, piacerà al pubblico, allora la soddisfazione sarà decisamente raddoppiata.

Quale pensate sia il miglior modo per permettere al pubblico di vedere Resurrection Corporation? Avete già delle idee su come distribuirlo, nonostante le difficoltà di questo  periodo?

 Mattia: I nostri lavori precedenti sono stati distribuiti in DVD, blu-ray e on demand, quindi non ci aspettiamo sicuramente di fare un passo indietro. La sala cinematografica oggi è quasi un’utopia. A ogni modo, prima di metterci in contatto con i distributori è indispensabile che il film segua un suo percorso per i festival e che accumuli recensioni. Purtroppo, a causa della pandemia, sono già saltati vari eventi; motivo per cui abbiamo deciso di mostrare Resurrection Corporation alla critica prima ancora di una sua anteprima ufficiale.

Alberto: Sì, cerchiamo di creare un corposo background al film, una specie di pagella composta da recensioni e partecipazioni ai vari festival cinematografici che spero si riprenderanno presto. In questo modo potremo presentare alle società di distribuzione qualcosa di davvero appetibile.