Il piano suona lento, le note soavi di una melodia senza tempo. Un cono di luce sorge alle spalle dell’ultima fila, e chiude il suo lungo raggio sulle mani esperte di Enzo Campagnoli, il Maestro Enzo Campagnoli.
Mattia al centro del palco attacca timido, andando a stimolare il suo giovane pubblico con la supplica graffiata che gli esce dalla gola e dal cuore. E dillo, ’na vota sola che pure tu stai tremanno. Dimmi che mi vuoi bene, sembra supplicare. Solo d’amore è carico il coro che nasce di risposta. Uno spaccato commosso di Napoli canta con lui.
Mattia Briga è un caso strano. Odiato e amato, bistrattato e lodato, continua a rimbalzare tra la visibilità nazionale e la reticenza verso chi è figlio di un talent. Ma di quei figli oggi Briga è uno dei pochi che ce l’ha fatta. Che si è scavato una via di fuga, un tunnel dalla cella stretta in cui buona parte dei suoi colleghi concorrenti si sono spenti, negli anni.
La sua via di fuga è stata esserci, esserci per i fan prima di tutto, ed esserci spesso, con i dischi, con la TV, con i libri (bellissimi tra l’altro, dato che li ha scritti con il sottoscritto), con le radio, con le opinioni, e se la sua esuberanza pirotecnica è andata ammorbidendosi negli anni e si è conciliata con la girandola dello spettacolo, lui, nonostante tutto, sembra essere rimasto a suo agio. Così me lo ritrovo nel camerino della Casa della Musica, una bottiglia di whisky che aspetta il post-concerto, delle scatole di scarpe nuove, i resti di un’ottima pizza locale e un cuoppo di fritti già consumato per pranzo.
È quasi buio quando la platea comincia a riempirsi, sotto palco ci sono i fan più agguerriti, quelli che hanno sfidato la noia della notte e il sole caldo del giorno, seduti sul breve tratto di marciapiede a disposizione, e ora sono lì ancora in attesa a pochi passi dal palco.
Sulla scena c’è James Da Cruz, il dj di fiducia, il piccolo genio che mixa bombe a mano sui giradischi. Balla e fa ballare tutti quanti, anche i ragazzi al bar. Lo scaldapopolo sta sparando i suoi ultimi colpi prima che lo show di giornata abbia inizio.
Il palazzetto non è strapieno come pensavo, ma c’è un calore che raramente si vede in giro, quando entra Mattia le prime note d’introduzione si mescolano a strilli sguaiati ed applausi scroscianti. Come una cosa sola il pubblico è aggrappato alle transenne che anticipano il palco, un solo lungo coro che inizia poco prima delle 22 e finisce quando rintocca la mezzanotte, tra nuovi applausi e lacrime. Sì, le fan di Briga piangono sempre, specialmente quando lo vedono inchinarsi, ringraziarle e ringraziare con un affetto sincero ogni membro della sua band, uno per uno, che si fanno avanti timidamente, senza la protezione dei loro strumenti, e ringraziano a loro volta.
Il concerto scivola via leggero e coinvolgente, senza tempi morti e senza frenesia. Dopo poche canzoni sale Sercho a dare una carica in più, a cantare quella Eo Eo che prende in giro tutti, anche se stessi, raccontando la vita da star e la stupidità di alcuni fan. Lui e Mattia si inseguono sul palco, saltano e ruggiscono e si nuotano intorno e la folla sembra saltargli incontro nel vano tentativo di raggiungerli.
Tocca ai ritmi estivi, tocca a Baciami e L’amore è qua, prima che Naufrago interrompa lo scorrere del tempo e lasci che una canzone ti trasporti via, lontano. La prima metà del concerto si chiude con Bambi e, soprattutto, con l’assolo della band, forse al massimo della sua forma, con l’avvocato Francis Drake a festeggiare il suo compleanno e uno splendido Mario Romano, capace di rapinare con prepotenza la scena a tutti e incendiare l’arena, dita che giocano e si moltiplicano su corde ardenti.
Quando Mattia riappare il calore non si è raffreddato, via ancora con nuove hit e qualche classico, sentire Benvenuta appaga sempre e anche se in scaletta mi piacerebbe risentire anche qualcuno dei pezzi d’annata, mi devo accontentare del meglio che gli ultimi album ci hanno concesso. Mattia mostra il suo petto e il suo cuore al pubblico, ma cela qualche ombra di noia nel cantare sempre le stesse canzoni che tutti si aspettano. In cuor suo credo che stia aspettando solo il Maestro Campagnoli, al quale la band gli lascia il palco, per deliziarci prima con la loro personale versione di Malinconia della partenza, poi, per omaggiare a casa sua l’indimenticato Pino Daniele, ci regalano Alleria e infine chiudono con la struggente Tu si’ na cosa grande che ci accompagna verso le lacrime e la conclusione di una calda serata napoletana.
Il buio scende sul palco giusto per una boccata d’aria e il tempo far rientrare tutti sul palco, raccogliere entusiasmi e sospiri con Sei di mattina e Non più una bugia e congedarsi, dall’amore, dal caldo, dal lungo abbraccio che dura da quasi ventiquattro ore. Mattia ringrazia e si rilassa, scende dal palco, batte il cinque a tutti, poi si stringe ad Enzo Campagnoli, «te l’avevo detto – mi dice – quando c’è il Maestro niente può andare storto».