Negli ultimi anni abbiamo assistito, nelle reti generaliste, a una massiccia crescita dei talk show politici, distribuiti a macchia di leopardo in tutte le fasce orarie, un fenomeno che è stato definito dai massmediologi l’anomalia italiana, in relazione alla tipologia dei programmi, alla durata e al flusso eccessivo di politica che invade i palinsesti, rispetto a quanto avviene negli altri paesi.
Anche nella fascia prime-time dei palinsesti generalisti sono oggi presenti numerosi talk show politici (da distinguere dai programmi d’inchiesta come Report), che dopo un periodo di programmazione disordinata hanno trovato, nelle ultime stagioni, un graduale assestamento delle collocazioni, evitando sovrapposizioni che potrebbero compromettere ulteriormente i già esigui e calanti ascolti auditel e cercando di ritagliarsi una propria nicchia di pubblico.
Scorrendo i palinsesti settimanali troviamo il Lunedì Quinta colonna con Paolo del Debbio su Retequattro, il Mercoledì La gabbia open con Gianluigi Paragone su La7, il Giovedì Piazzapulita con Corrado Formigli su La7.
La sola sovrapposizione ancora presente è quella del martedì tra #cartabianca condotto da Bianca Berlinguer su RAI3 e Dimartedì con Giovanni Floris su La7. In questo caso a spiegare lo scontro diretto intervengono motivazioni legate inizialmente alla difesa del brand televisivo e poi all’orgoglio aziendale. Dopo l’addio di Floris, per RAI3 si trattava, infatti, di confermare la continuità del “marchio di fabbrica” Ballarò e della sua collocazione storica nella serata del martedì, a prescindere dal conduttore. Per La7 e per Floris si trattava, invece, di dimostrare che, a prescindere dal brand, il martedì era ormai uno spazio informativo di Floris, che aveva occupato come conduttore fin dal 2002.
Una volta “rottamato”, nel luglio 2016, fra mille polemiche, il Ballarò condotto dal giornalista di Repubblica Massimo Giannini, e dopo il fallimento di Politics, condotto da Gianluca Semprini (giornalista proveniente da SkyTg24), “l’orgoglio RAI” ha affidato a un’apprezzata giornalista interna, Bianca Berlinguer, il compito di contrastare il format di Floris.
In realtà, dopo quasi tre anni dall’addio di Floris, e dopo le tante polemiche che hanno accompagnato questo lungo duello e vivacizzato il dibattito sul ruolo dei talk-show politici, volendo fare un bilancio, mi sembra di poter dire che sul piano editoriale non ci sono stati vincitori ma solo perdenti, sia sul piano qualitativo sia su quello quantitativo.
Nonostante le promesse di rinnovamento non è emersa alcuna significativa evoluzione nelle formule televisive proposte e nel complesso si è assistito a un progressivo calo di spettatori. Se si confrontano i dati del periodo marzo-aprile 2017 con quelli del 2016, la somma degli ascolti dei due talk show è sensibilmente calata: Dimartedi (con una media inferiore al 5%) ha perso un punto e mezzo di share e #cartabianca (con una media intorno al 4%) ha perso 2 punti rispetto al Ballarò del 2016, condotto da Giannini. Siamo lontani dagli ascolti dello storico Ballarò (13% di media con puntate che, nei periodi caldi, superavano il 15%) e a questo punto, scomparso anche il marchio originale, questo confronto diretto appare senza grandi prospettive per entrambi i competitor.
Occorre ricordare che il brand Ballarò–Floris (2002-2014), è stato il risultato di un forte e costante impegno produttivo e ideativo di RAI3, inserito in una struttura di palinsesto equilibrata, coerente e fortemente consolidata, che poteva contare sul pubblico molto fidelizzato della rete (in tempi in cui la transizione alla TV digitale e la conseguente dispersione del pubblico erano ancora allo statu nascenti). Dunque un successo, ormai irripetibile, costruito nel tempo e in altri tempi, e determinato da una molteplicità di fattori, fra i quali anche le indubbie qualità del conduttore.
Gli andamenti dei due talk del martedì si collocano, peraltro, in uno scenario caratterizzato da un calo generalizzato degli ascolti medi di tutti i talk di prima serata. Rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso (marzo-aprile) La gabbia open scende al 2,6% di media; Piazzapulita scende al 3,8%, tiene Quintacolonna con il 4,9% di media. Un calo che procede parallelamente a un invecchiamento del pubblico di tutti i programmi considerati, che oscilla dai 2 ai 3 punti percentuali (con età medie che variano dai 61 ai 64 anni).
Gli ascolti medi assoluti, che nel migliore dei casi raggiungono il milione di telespettatori, risentono delle lunghe durate dei programmi (intorno alle 3 ore), che chiudono dopo la mezzanotte e costringono il pubblico a faticose maratone e a un crescente abbandono della visione nel corso della serata. Il tutto per aumentare lo share, ormai utilizzato, spesso in modo improprio, come principale indicatore per decretare “vincitori e vinti”.
Calo di ascolti, invecchiamento del pubblico, bassa permanenza*, basso tasso d’innovazione dei format e dei linguaggi, sono indicatori negativi dello stato di salute di un’offerta considerata ridondante, cui si rimprovera di esser condizionata da un esasperato inseguimento degli ascolti, che spinge ad alzare i toni, a spettacolarizzare, a trasformare gli studi in tante piccole arene, con applausometri annessi, a privilegiare la logica dell’urlo e dell’insulto. Una logica, però, che alla lunga non sembra ripagare.
* permanenza: è un indicatore della “fedeltà” di visione. Cioè il rapporto tra il numero di minuti visti mediamente dagli ascoltatori di un certo programma e la durata dello stesso. (Glossario Auditel)