Qui al Festival l’attesa per Dopo la guerra, opera prima di Annarita Zambrano in concorso a Un Certain Regard, era molta e la lunghissima fila di spettatori fuori della sala Debussy per la prima proiezione del film l’ha ampiamente confermato. In molti, come chi scrive, non sono riusciti a entrare e si sono così dovuti accontentare di vedere Dopo la guerra alla proiezione serale.
La forte curiosità intorno all’esordio nel lungometraggio di finzione della 45enne Annarita Zambrano era dovuta a tre fattori in particolare: da una parte si tratta di una coproduzione franco-italiana a prevalenza francese; in secondo luogo la cineasta, romana che vive e lavora ormai da vent’anni a Parigi, viene da una serie di apprezzati cortometraggi presentati nei festival più prestigiosi del mondo, come lo stesso Cannes (Ophelia fu in gara per la Palma d’Oro nel 2013, Tre ore alla Quinzane des Réalisateurs), Venezia (À la lune montante) e Berlino (Andante mezzo forte); infine, Dopo la guerra affronta il delicato tema del terrorismo rosso e il rapporto fra Italia e Francia tra i primi anni Ottanta e i primi Duemila in materia di estradizione e diritto d’asilo.
Dopo aver fatto parte insieme al deceduto fratello di un gruppo terroristico italiano ed essere stato condannato all’ergastolo per l’uccisione di un magistrato, Marco Lamberti (Giuseppe Battiston) si è costruito una nuova vita in Francia, dove per vent’anni ha usufruito del diritto d’asilo garantito a partire dal 1982 dalla dottrina Mitterand. Qui ha avuto una figlia, la 16enne Viola (Charlotte Cétaire), che sa ben poco del drammatico passato del padre. Tutto cambia radicalmente quando nel 2002, in seguito alla decisione del Presidente francese Raffarin di abrogare la dottrina Mitterrand, un insegnante universitario viene assassinato a Bologna. L’ipotesi del governo italiano è che Marco sia la mente dell’attentato e così padre e figlia si trovano all’improvviso costretti a fuggire.
Ambientato tra la Francia e l’Italia, Dopo la guerra si concentra non solo sulla fuga di Marco e Viola ma anche su come le passate attività terroristiche dell’uomo si ripercuotano ancora drammaticamente, a distanza di oltre vent’anni, sulla famiglia italiana: la madre Teresa (Elisabetta Piccolomini), la sorella Anna (Barbora Bobulova), il marito di quest’ultima Riccardo (Fabrizio Ferracane) e la loro figlioletta. Annarita Zambrano evita abilmente di prendere banali posizioni ideologiche e focalizza la propria attenzione sulle sofferenze e il travaglio esistenziale dei vari personaggi. La sceneggiatura, scritta a quattro mani dalla stessa regista insieme a Delphine Agut, colpisce per la solidità e sul piano drammaturgico alterna in maniera particolarmente efficace le vicende francesi e quelle italiane. In questo contesto, i percorsi emotivi dei protagonisti vengono raccontati con delicatezza, senza mai calcare la mano, optando per un approccio asciutto ed essenziale che allontana qualsiasi tipo di enfasi.
Nonostante qualche piccola sbavatura registica iniziale (i primi minuti ambientati all’università e nella palestra in cui Viola gioca a pallavolo non convincono appieno), Dopo la guerra rivela il talento di Annarita Zambrano non solo come sceneggiatrice ma anche dietro la macchina da presa. Affascinanti sono ad esempio alcuni primi piani dedicati a Viola, in primis quello abbinato a un carrello laterale che la ritrae mentre va in bicicletta in uno dei momenti più intensi del film. Accolto da un lungo applauso al termine della proiezione ufficiale, Dopo la guerra uscirà in Italia in autunno e noi di Fabrique vi consigliamo fin d’ora di andarlo a vedere.