Questa è una dichiarazione d’amore. Non perché Tommaso Paradiso sia il cantante più bravo della sua generazione, non perché Completamente sold out sia il miglior disco degli ultimi anni, non perché questo sia stato il miglior concerto della nostra vita.
È una dichiarazione d’amore perché con i Thegiornalisti ci sentiamo tutti a casa. Perché quando Tommaso si affaccia sul palco con la sua aria ingombrante e un po’ goffa, ci sembra di vedere quel tipo spaccone che ciondola tra i tavolini di Prati, che lo conosci anche se non lo conosci.
Quasi ci fa strano vedere l’invadenza di un PalaLottomatica strapieno cantare certe canzoni, non quelle dell’ultimo disco, così fresche e immediate da far breccia in tutte le radio, piuttosto fa strano sentire migliaia di persone cantare quelle canzoni che erano la tua chicca, il tuo linguaggio privato nei tramonti d’estate, le canzoni velate di una malinconia atavica che sceglievi di mettere tornando dal mare, scansando il solito disco di Venditti e di Dalla, evitando la solita compilation che hai comprato in autogrill.
Tutto comincia con qualche canzone recente, poi Tommaso fa un saluto generale «la cosa più bella dei palazzetti sono le uscite di sicurezza», tutti si girano a guardare le luci verdi nel buio che scavano l’arena in lunghe linee che tranciano le gradinate. Porta gli occhiali scuri sul volto, si giustifica con una delle sue solite sviolinate e ci fa ridere. Quando subito dopo attacca con Mare Balotelli si è visto qualcuno piangere, pensando all’aria fresca che ci aspetta fuori e noi che non vediamo l’ora di tornare a essere tutti uguali, coi costumi a fiori.
Non può non continuare con Fine dell’estate, con quelle quattro strofe, quattro inquadrature che ci proiettano dentro quei film anni ’80 citati nel ritornello, quattro pugni allo stomaco assestati tra le birre che deglutiamo. Il pubblico, che era partito vagamente freddo, ora sbrodola di applausi e ricordi confusi con occhi sognanti, la band riattacca con le canzoni del nuovo album, e si cantano tutte, dai suoni sembra che da un momento all’altro possa iniziare anche Ricordati di me di Venditti ma non avviene mai, purtroppo.
L’album nuovo forse non ha la forza poetica dei primi, l’incoscienza di altri testi datati, ma ha la capacità di coinvolgerti a ogni canzone, anche se dice frasi più banali, anche se una canzone che recita «sono un po’ fatto di te» non avremmo mai pensato di cantarla, però siamo tutti lì, con una sorprendente ed eterogenea gioventù romana, forse la sintesi migliore della città, senza turisti da concerto di massa, senza adolescenti in preda a crisi ormonali, senza disagio dilagante.
Con Disperato ci racconta quando un attacco di panico lo porta a spasso per il quartiere e a guidare per la città, e tutti con la testa sembrano fare un segno di assenso confortante, ripensando alle domeniche d’ansia e pentimento trascorse; Sbagliare a vivere pare arrivare in soccorso di quei pensieri come una sorta di riscatto, con quella sua e nostra triste felicità.
Tommaso Paradiso, con ai suoi lati Marco Rissa e Marco Primavera, si siede al centro del parterre, come sospesi sopra le teste ammucchiate e le mani che stringono centinaia di iPhone luminosi. Ricostruiscono l’ambiente intimo di un vecchio club, stretti come se si spartissero i pochi metri di qualche angolo cencioso, sopra a uno di quei palchetti alti venti centimetri. E come in un club di tanti anni fa ci riportano indietro con un medley, tipo quelli che fa Vasco per risparmiare sul tempo e mettere qualche canzone in più. Parte E menomale, si trasforma in Autostrade umane e finisce con una meravigliosa Io non esisto, che estrapola pezzi di anima da tutte le voci che strillano le loro sconfitte d’amore.
Come il mare, l’estate e le notti in città, anche il calcio ritorna sempre nelle canzoni dei Thegiornalisti, inizia così anche Proteggi questo tuo ragazzo quando Tommaso si siede solo al suo pianoforte e ci dice che se sbaglia il primo pallone butta via tutta la stagione e non si riprende più. Luca Carboni arriva in supporto, appare dal buio con la sua aria da rocker sbiadito, un lungo applauso lo accoglie sulle note di una canzone alla quale tutti vogliamo un po’ bene. Un abbraccio tra i due cantanti anticipa Luca lo stesso canzone scritta da Paradiso per uno dei suoi miti anni ’80, qualcuno dalle retrovie aspetta un momento di silenzio per intonare Silvia lo sai … lo sai che Luca si buca ancora, tra l’ilarità di chi gli è intorno.
Tommaso Paradiso è ancora lì con il suo magliettone nero e i capelli gonfi, canta qualche altra canzone che scivola via nell’euforia generale, poi si ferma un attimo e stuzzica il pubblico, chiama l’attacco di Sold out e come un mantra condiviso tutti quanti strillano «vorrei morire brillo», senza musica, senza accompagnamento, continuando fino a metà canzone quando tutto si sbriciola in un applauso sincero e commosso che le gradinate si scambiano con la band.
Tra la strada e le stelle ci introduce Elisa che compare brevemente spalleggiando Tommaso, in una prestazione bella e quasi sprecata, tanto da far invocare il suo nome a tutto il pubblico, che lo scandisce a più riprese, ma lei si abbraccia forte con lui e poi sparisce con il suo fare timido e quasi fuori posto, in quello che è senza dubbio il suo habitat naturale.
Il tuo maglione mio rimbomba subito dopo con la folla che si scioglie definitivamente di ogni pudore, prima che il palco si svuoti di musicisti e si riempia dell’ego di Fabri Fibra che anticipa la base di Pamplona, la nuova hit che cominceremo a odiare con l’incedere dell’estate, quando ogni radio ce la propinerà senza soluzione di continuità. Il pubblico è in piedi e salta a ritmo, il ritornello chiama cannoni fumogeni che smuovono l’aria surriscaldata del palazzetto, Tommaso si agita e si tira il cocktail addosso, ballando con il bicchiere tra le mani.
Il concerto è finito? Non ci crede nessuno, mancano le due hit principali degli ultimi due album e questo è un trucco che non ingannerebbe più neanche un cavernicolo. Tempo di riprendere fiato e cambiarsi il magliettone, che da scuro diventa candido, ed ecco che Tommaso torna cantando l’immortale Promiscuità, forse la canzone più riuscita del gruppo, quel misto di ambientazioni retrò, sesso occasionale, sigarette e tanta voglia di non invecchiare mai. Completamente chiude il circo, le mani battono a tempo, ogni bocca segue le parole di una canzone tenera e compromettente, siamo tutti lì a saltellare con lui, con i coriandoli che invadono il palazzetto, sparati in aria a inondare palco e pubblico.
L’applauso che chiude il cerchio è sincero, tra vecchi amici che si vogliono bene. Dalle casse parte Balla, altro pezzo niente male lasciato fuori dalla scaletta, tutti sono lì a raccogliere il giusto tributo, la band storica con il buon Leo Pari, acquisto dell’ultimo tour, gli Shazami (Mandelli e Russo) che hanno aperto il concerto dopo il DjSet di Calcutta, tutti saltano e si abbracciano.
Sul palco con loro è come se ci fossero i nostri anni ’80, e i nostri ’90, da De Sica a Verdone, da Nanni Moretti a Willy il principe di Bel Air, c’è tutto l’armamentario culturale che qualcuno voleva dimenticare e che ora riaffiora prepotente, con Tommaso Paradiso, con i Thegiornalisti e con noi, “trentenni alcolizzati”, insicuri e sorridenti; con noi che condividiamo i loro stessi ricordi bambini.