Lo tsunami della nuova serialità è finalmente arrivato anche in Italia, dove si sta cercando di creare un modello originale che interessi anche il mercato internazionale. I primi a essere coinvolti in quella che sotto molti aspetti è una vera e propria rivoluzione sono gli sceneggiatori e i produttori.
Perciò, dopo il successo dell’anno scorso, anche quest’anno Fabrique, in collaborazione con la quarta edizione del Roma Web Fest 2016, il 1 ottobre ha organizzato una tavola rotonda con alcuni dei più importanti nomi della sceneggiatura e delle case di produzione italiane per discutere del futuro delle serie nostrane.
Protagonisti: Ludovico Bessegato, produttore creativo di Cross Production, Paola Mammini, sceneggiatrice vincitrice del David di Donatello con Perfetti sconosciuti, Stefano Sardo sceneggiatore di 1992, Valeria Licurgo responsabile di produzione per Lotus Production e Salvatore De Mola sceneggiatore di Montalbano e del Giovane Montalbano. Ha moderato l’incontro la giornalista Eva Carducci.
Insomma, che momento sta vivendo oggi la serialità italiana? «Il momento migliore da moltissimo tempo per la mole e il tipo di prodotti che si sta sviluppando» esordisce Stefano Sardo «sono successe delle cose, l’Europa è diventata terra di conquista degli over the top, Netflix è sbarcato in Italia, Amazon sta per produrre in Germania e probabilmente arriverà anche da noi. Questo è lo scenario in cui sono nati team di creativi italiani e la possibilità di dar vita a prodotti internazionali». Sardo cita l’esempio di The Young Pope di Sorrentino, una co-produzione internazionale tra Italia, Francia Regno Unito e Stati Uniti: «Si avverte un’energia creativa che porterà a una sana competizione. Arriveremo presto al momento in cui saranno i network a fare agli sceneggiatori la fatidica domanda: “Ma tu hai un’idea per una serie?”».
Tuttavia questa prima fase è molto fragile e rimane alto il rischio di tornare indietro; per fare in modo che questo non accada c’è bisogno di tenere in piedi la richiesta di originalità. Questo è lo step successivo necessario, ma ancora lontano dal realizzarsi: per ora la consuetudine è quella di proporre delle idee agli autori e di creare un evento per sponsorizzare il canale di riferimento. Come spiega Ludovico Bessegato: «Non si capisce se è il pubblico che richiede le serie di qualità o se sono i canali TV che le vogliono come strumento promozionale. Ad esempio Sky utilizza la logica che prevede la creazione di un evento con un appeal promozionale studiato per far comprare all’utente l’abbonamento. Ma la base di tutto rimane il marketing, e non c’è una vera ricerca di storie e personaggi originali». La parola passa poi a un’altra figura fondamentale per lo sviluppo di una serie, la produzione. Valeria Licurgo afferma che da qualche anno le case di produzione si stanno adeguando alla sempre maggiore richiesta di serie e sono attente all’evoluzione del genere: «Quello che manca è un interlocutore affidabile che faccia da tramite tra le produzioni e le reti televisive per presentare il progetto».
Un capitolo importante del workshop si snoda attorno al rapporto tra sceneggiatore e produzione, una collaborazione necessaria che, come spiega Paola Mammini, può essere fonte di innovazione. Tuttavia i produttori non sono gli unici interlocutori con cui lo sceneggiatore deve confrontarsi, chi di solito può ostacolare seriamente la costruzione di una serie televisiva è l’editor di rete, e questo accade soprattutto nelle reti generaliste, dove ci sono determinate regole da rispettare anche di tipo legale: marchi che non si possono nominare, limiti nel linguaggio, soprattutto se la fiction va in onda nelle fasce orarie protette. «Tutta una serie di paletti difficili da evitare che riducono molto l’appeal del prodotto», conclude Mammini. Un altro ostacolo posto agli sceneggiatori è quello di non poter partecipare ai casting. Per Salvatore De Mola questa è una prerogativa fondamentale per il momento assegnata al solo regista, che in questa maniera si trasforma in un vero e proprio showrunner.
La discussione si accende sulle questioni economiche. Spesso gli sceneggiatori vengono pagati alla stessa maniera sia se si tratta di lavorare a un prodotto nazionale sia a uno con una produzione e uno sbocco estero, quindi, continua Sardo «un sistema industriale che non consente a un prodotto che genera diritti nel mondo di arricchire chi l’ha fatto non invoglia a lavorare per l’estero». Dal canto suo il produttore, ricorda Licurgo, va incontro a rischi maggiori rispetto a un autore, investe un capitale per il progetto e nel caso di un grosso fallimento può perdere molto. La soluzione potrebbe essere quella di far partecipare con una quota d’investimento lo sceneggiatore alla produzione, in questa maniera si rischia in due e i guadagni sono divisi in maniera equa. Una soluzione che potrebbe portare alla nascita di una nuova figura: il produttore creativo, un modello in qualche caso applicato, ma che in Italia deve ancora prendere piede.