Farsi finanziare come opera seconda una “commedia storta” dai toni grotteschi, in bianco e nero e con un protagonista esordiente è già un’impresa che meriterebbe un approfondimento a parte.
È infatti un piccolo caso quello di Orecchie, secondo lungometraggio del 41enne Alessandro Aronadio interpretato da Daniele Parisi, freschi vincitori del Premio del pubblico e del Premio per il miglior attore al Festival della Commedia di Montecarlo. Orecchie aveva avuto già ottimi riscontri alla Mostra del Cinema di Venezia (era peraltro uno dei quattro progetti internazionali sostenuti e prodotti da Biennale College), dove Parisi aveva riportato anche il Talent Award NuovoIMAIE come miglior attore emergente.
Un’impresa che dimostra come sia possibile, anche nel nostro paese, fare un cinema che esca dal canone e che non abbia paura di sottrarre temi e volti alla nicchia più misconosciuta (e bistrattata) della cultura italiana: il teatro off, quello da pochi posti in sala, autori giovani e palchi pieni di energia, pubblico poco ma motivato, luci della ribalta nessuna.
In realtà, Daniele, tu non sei affatto un esordiente…
Faccio teatro da sedici anni. Ho cominciato a diciotto, nel 2000, poi ho continuato in quei localetti romani dove si fa cabaret, posti come il Teatro Studio Uno. Facevo spettacoli ma non rideva nessuno. Per me era una cosa tristissima. Ma ero all’inizio, dovevo ancora imparare a manipolare la scrittura. Allora ho cercato una scuola, le ho provate tutte e alla fine sono entrato alla Silvio D’Amico. Per quattro anni sono stato in tournée. Ma sono entrato in crisi: fare l’attore scritturato è un po’ come timbrare il cartellino…
Sì, ma di questi tempi è una fortuna. Avere un lavoro, intendo.
Io però non mi sentivo soddisfatto, volevo esprimermi come autore ma non sapevo come fare. Nel 2011 incontrai Paolo Rossi, in uno stage organizzato dall’Accademia, e quei venti giorni con lui mi hanno aiutato a mettere a fuoco quello che volevo fare: il teatro popolare. Ho mollato tutto e ho cominciato a scrivere. Dal 2011 a oggi ho messo in scena tre spettacoli 8Inviloop, Ab hoc et ab hac, Abbasso Daniele Parisi, ndr) e sto preparando il quarto. Sull’apocalisse…
Con Aronadio come vi siete incontrati?
Avevo fatto una piccolissima parte nel suo primo film, che poi è stata tagliata. Ma siamo diventati molto amici. Lui veniva spesso a vedermi a teatro. Poi mi ha chiamato per il provino.
Che effetto ti ha fatto il circo del cinema?
Bello, ma… io sono un teatrante e resterò tale. L’idea che ho in testa è quella di continuare a scrivere e portare con me gli spettacoli che faccio. Sono degli one man show, e vorrei che i miei personaggi invecchiassero con me. Riuscirò da vecchio a fare le stesse cose che faccio oggi? O dovrò cambiare?
A sentirti parlare sembra quasi che il teatro sia un’opzione appetibile. Ma non era in crisi?
A teatro ci facciamo molti problemi. Il teatro è in una crisi terribile. La percezione, da fuori, è che sia passato di moda. È obsoleto, sa di museo. A differenza di chi fa cinema noi attori di teatro siamo umanità disperse. In Italia non sei considerato un attore se il pubblico non ti ha visto in TV, se non sei immediatamente riconoscibile.
Ma oggi un attore giovane può vivere di teatro?
A meno che tu non faccia parte di una compagnia stabile che lavora tantissimo è molto difficile. C’è poco lavoro ed è pagato male. Da questo punto di vista sono un outsider anche in questo settore, visto che vengo da quel teatro ma ne sono uscito. Scrivo, dirigo, recito e promuovo, vado nelle cantine, parto con la valigia e la chitarra e giro l’Italia. Credo che questo sia oggi l’unico modo per fare quel tipo di teatro. L’unico modo per crearsi una rete, un piccolo ritorno, un pubblico.
C’è solidarietà tra voi attori?
Sì, soprattutto a Roma si sta creando una nuova leva di teatranti. Ci vediamo spesso fra di noi, siamo tutti per la filosofia dell’autopromozione. Ivan Talarico per esempio, cantautore che viene dal teatro, o Claudio Morici, scrittore, Marco Andreoli, un regista di teatro. E Davide Grillo, un attore giovanissimo che fa stand up. Ci vediamo a San Lorenzo, pranziamo insieme in un posto dove si paga poco, e così nascono tante collaborazioni. Smettiamo di piangerci addosso: se la cultura ufficiale non forma una nuova leva di autori, la scuola romana ce la inventiamo noi.