È già un cult. Dapprima, tutti noi, abbiamo temuto il gelido papa dagli occhi blu interpretato da Jude Law, non capendo mai le sue intenzioni. Poi, lo abbiamo odiato, una volta compreso di cosa fosse capace e, infine, lo abbiamo amato, quando ci ha aperto il suo cuore. Il premio Oscar Paolo Sorrentino ancora una volta parla di amori mancati, e lo fa attraverso un personaggio magnetico, una sorta di angelo mostruoso (o mostro angelico) incorruttibile e allo stesso tempo pieno di contraddizioni.
Distribuito da Sky Atlantic, Young Pope in Italia ha ottenuto da subito un record di ascolti, e in questi giorni sta debuttando in America. La Cineteca Italiana di Milano è stata la prima a pensare a una piccola distribuzione su grande schermo, e non è stata una brutta idea, perché in dieci minuti la sala di Spazio Oberdan era già sold out.
Anche perché a incontrare il pubblico c’era uno dei più celebri direttori della fotografia italiani vincitore di 7 David di Donatello – di cui 4 vinti sotto la regia di Sorrentino – Luca Bigazzi, che si dice entusiasta di questa iniziativa: «Il cinema e tutte le opere cinematografiche vanno viste collettivamente, non singolarmente nelle proprie case. Se noi perdiamo il senso della sala cinematografica, il cinema non ha più senso di esistere perché la comunicazione non verbale che si stabilisce fra voi e il vostro vicino restituisce il senso vero del film, impossibile da trovare nella visione singola, isolata, al computer, in casa. Ne impedisce la comprensione».
Altra cosa importante, sottolinea Bigazzi, è vedere la serie in lingue originale, perché «il doppiaggio è uno scandalo» e, oltretutto, quando c’è un napoletano doc come Silvio Orlando che si destreggia con l’inglese, non se ne può proprio fare a meno. E poi la versione originale è l’unico modo per vedere la vera recitazione di Jude Law, «il più grande attore con cui io abbia mai lavorato».
Dieci puntate da un’ora ciascuna, eppure sembra di avere a che fare con un film molto lungo, più che con una serie TV. Anche il modo in cui è stata realizzata assomiglia più a quello di un film: «È stata una fatica mostruosa» racconta ancora il direttore della fotografia «abbiamo lavorato per 24 settimane, con dei ritmi massacranti, ogni settimana realizzavamo mezz’ora di montato. Numeri insostenibili per degli essere umani. Sono vivo per miracolo».
Per non parlare delle ricostruzioni dei luoghi papali: «Non abbiamo potuto girare in nessun luogo reale, il Vaticano e le chiese erano interdette. Quindi ci rimanevano solo chiese sconsacrate o teatri di posa, e qualche palazzo meraviglioso di Roma che abbiamo spacciato per stanze papali. La scenografa ha fatto un lavoro incredibile».
E proprio in un periodo in cui sembra che ci sia una grande sfiducia nel pubblico – e si tenta di riportarlo in sala promuovendo iniziative come Cinema2Day – Bigazzi conclude il suo incontro ponendosi una domanda e riflettendo sul fatto che forse, se dallo Spazio Oberdan sono state mandate via oltre cento persone e i posti erano già esauriti un’ora prima dell’inizio della proiezione, perché non si è pensato a una distribuzione non solo televisiva, ma anche cinematografica? Dopotutto, si sa che il papa mobilita le folle…