La mia storia con i fratelli D’Innocenzo inizia nel 2019, quando stavo cercando una location per il mio cortometraggio. Contattai Damiano su Facebook, e pur non potendo aiutarmi direttamente, rispose con una gentilezza tale che decisi di ringraziarlo nei titoli di coda del mio corto Amateur. Questo gesto di gratitudine non passò inosservato: non so ancora bene come, ma vennero a sapere del ringraziamento sul roll dei titoli e vollero vedere a tutti i costi il corto, rimanendone affascinati al punto da invitarmi a cena per parlarne per tutta la sera, anche se a volerli riempire di domande, in realtà, ero io.
Da quel momento è nata una profonda amicizia, fatta di capodanni e set (ho girato per loro il backstage di America Latina, presente nei contenuti speciali del DVD in commercio). Sono tante le cose che ci accomunano, ma quella che ci accomuna di più è l’amore per il cinema e in particolare per il cinema che omaggia l’essere umano raccontandolo anche nella sua degna disgrazia. Amiamo il cinema e quindi abbiamo accettato volentieri la chiacchierata che segue.
Simone: Da quando ero al CSC e uscì La terra dell’abbastanza fino a oggi, mi sembra che ogni cosa che facciate sia una novità per l’Italia. È la prima volta che una serie viene distribuita al cinema in due atti, come evento speciale in un’unica settimana. Come mai questa scelta? È una decisione vostra?
Fabio: Non è stata una nostra scelta iniziale, anche se l’abbiamo adottata per necessità. La data che ci hanno proposto, ovvero luglio, era piuttosto infelice. Vision Distribution, che ha un’esperienza incredibile, ha suggerito di condensare tutto in una settimana per massimizzare l’impatto. Tuttavia, dal mio punto di vista, questa decisione ha complicato le cose, generando molta confusione e diversi errori. Mi sono assunto pubblicamente la responsabilità di questi errori, anche se non erano miei, perché credo fermamente che sia importante prendersi le proprie responsabilità. E mi piacerebbe che anche altri lo facessero, soprattutto chi è coinvolto in queste decisioni e processi.
Simone: In un’epoca in cui le piattaforme e i broadcaster arricchiscono le loro offerte con pacchetti Ultra HD, 4K, HDR, come avete convinto Sky a girare in 16mm?
Damiano: Abbiamo convinto Sky con la passione, con la nostra autentica passione. Ricordo una lunga riunione durante la quale abbiamo mostrato sia i provini in pellicola che quelli in digitale. Stavamo cercando di convincerli della bontà di una scelta che, a prima vista, poteva sembrare più rischiosa e più costosa. A posteriori, però, non era né l’una né l’altra. Non siamo degli esteti della pellicola, così come non siamo esteti del digitale. Non siamo esteti di nessuno strumento del cinema, perché rispettiamo il cinema e il cinema non può essere schiavo di nessuno strumento. Quello che posso dirti è che, tanto tempo fa, con Fabio ci siamo chiesti come raccontare questa storia, non solo in termini di pellicola ma anche per quanto riguarda i movimenti di camera. Abbiamo deciso di tenere tutto a mano, di far sparire tutti i cavalletti e di non usare carrelli, tranne uno che abbiamo ricavato da un carrello di un supermercato. E qual è, appunto, il corrispettivo della carta nel cinema? È la pellicola. L’unica materia artigianale, materica, che esiste. È l’unica cosa presente, concreta e che puoi toccare. Questo aspetto ci interessava moltissimo. In secondo luogo, parliamo di un personaggio che si sta estinguendo letteralmente, ed è proprio la prima scena. Quindi ci interessava che il mondo che lui vede non fosse particolarmente dettagliato e preciso, doveva essere inevitabilmente miope. E poi, in pellicola… Tu hai girato Patagonia! Quando abbiamo pensato a Dostoevskij, abbiamo anche analizzato il tuo film con il nostro direttore della fotografia, non avendo mai lavorato in pellicola 16 mm.
Simone: Visto che i vostri primi tre film sono stati girati in digitale e Dostoevskij in pellicola, potete fare un bilancio soggettivo delle potenzialità di entrambi i formati?
Fabio: Certo, ogni formato ha i suoi limiti e le sue potenzialità. Sia io che Damiano abbiamo trovato un certo fascino in quella “cecità” di fronte a monitor bruciati, tipici di quando sul set giri in pellicola. Tutto appare bianco e dobbiamo sforzarci di cogliere le espressioni degli attori. In quei momenti, ho scoperto di apprezzare profondamente l’esperienza. La forma e il contenuto del film riuscivano così a trovare un equilibrio appagato. La pellicola ha una qualità materica che il digitale non può replicare, ma alla fine per noi è più importante la storia e come viene raccontata, piuttosto che il mezzo con cui viene realizzata.
Simone: La pellicola mi ricorda quella scarsa definizione dei file .avi con cui abbiamo visto mezzo cinema, su file di 700 megabyte.
Fabio: Esatto. E dei film (inediti in italia) che tu ci passi di contrabbando…
Simone: Dopo La terra dell’abbastanza si parlava di una vostra serie tv, addirittura di un western, e visto che apprezzo tantissimo la vostra abilità nella scrittura: è vero che la serialità è il grande territorio della scrittura? O avete scovato dell’altro?
Damiano: Territorio della scrittura, ma non direi in maniera sistematica. I nostri riferimenti per questa serie sono stati tantissimi romanzi. Mai come in questa serie abbiamo portato i romanzi che amiamo tantissimo, spesso molto ingombranti in termini di pagine. Per esempio Antonio Moresco, il mio scrittore italiano preferito, fa libri giganteschi. Anche I poveri di William T. Vollmann e Le perizie di William Gaddis ci hanno ispirato. Il formato lungo ci permette di avvicinarci molto di più al passo dello scrittore piuttosto che al passo del regista. In America Latina era esattamente il contrario: mentre scrivevamo le scene, dovevamo immaginarle già girate. Con Dostoevskij, invece, l’immaginazione andava messa su come venivano lette.
Simone: La cosa che più mi ha colpito di Dostoevskij è stato il reparto visivo. Come avete fatto a creare un dialogo così solido tra tutti questi reparti?
Fabio: Appena iniziamo a delineare la storia, vedo subito tutti gli elementi che comporranno il mondo che stiamo creando. Abbiamo la fortuna di collaborare con persone straordinarie, e i bravi registi sono quelli che sanno scegliere i migliori collaboratori. Lavoriamo in stretta sinergia con il direttore della fotografia, lo scenografo, il costumista e tutti gli altri reparti per assicurarci che ogni dettaglio sia coerente e contribuisca a raccontare la storia nel modo più efficace possibile. È un processo collaborativo in cui ognuno porta la propria visione e competenza, e il risultato finale è sempre un dialogo armonioso tra tutti questi elementi.
Simone: Voi mi avete raccontato che il montaggio può essere un momento di grande crisi. In particolare Damiano, una volta mi ha detto che, dopo i primi tentativi di montaggio, Favolacce gli sembrava «il film il più brutto che avesse mai visto». Come si fa a non perdere la testa di fronte a una quantità così vasta di materiale, come nel caso di una serie tv?
Damiano: La risposta che sto per dare potrebbe sembrare un po’ cialtrona, tuttavia non ci ho mai creduto tanto come in questo momento: scegliere un posto che senti tuo per montare è fondamentale. Ad esempio per America Latina eravamo di fronte ai Fori Imperiali, il posto che meno ci rappresentava al mondo. Nel caso di Dostoevskij abbiamo fatto tutto in un appartamentino sottoscala a Piazza Vittorio, quindi a un minuto da casa di Fabio e a sei minuti da casa mia. Il fatto che il posto fosse così mesto mi faceva sentire incredibilmente a mio agio. Mi ha permesso di uscire tutti i giorni a piedi, invece di prendere una stupida macchina. Mi ha permesso di vivere il montaggio come fosse il campo scuola a cui non sono mai andato da ragazzo. Per me è importante trovare un posto che somigli a quello che stai raccontando e a quello che sei tu. Questo ha reso il montaggio di Dostoevskij il più bello che abbia mai fatto, non in termini tecnici, ma in termini di esperienza vissuta. Ho passato una stagione meravigliosa, forse una delle stagioni più belle della mia vita lì con Walter Fasano (montatore), con Alessio Franco e con Leonardo Balestrieri (assistenti al montaggio).
Simone: Com’è il rapporto con gli altri registi della vostra generazione?
Damiano: Credo che nella nostra generazione ci sia un rapporto di scambio umano e di unità maggiore rispetto ad altre generazioni di registi. Questo è un concetto che esprimo spesso e in cui credo fermamente. Tuttavia le cose stanno cambiando, e con la massima sincerità ti dico che comprenderemo appieno questa trasformazione solo tra alcuni anni. Oggi, nel breve termine, la situazione può sembrare un po’ più semplice. Sono certo che quando tu, Alain (Parroni), Trash Secco e molti altri registi avrete successo, saremo davvero messi alla prova. È relativamente facile sentirsi uniti quando si detiene poco potere. Non vedo l’ora di vedere tutti noi al posto che meritiamo, non per sfruttare questa posizione, ma per aprire porte agli altri. Non vogliamo essere degli equilibristi costretti a mantenere l’equilibrio mentre realizziamo film in modo stanco e ripetitivo. Sarà proprio in quel momento che si potrà comprendere chiaramente come sia cambiata la rotta.
La versione completa di questo articolo è apparsa sul n. 45 di Fabrique du Cinéma. Abbonati qui per restare sempre aggiornato sulle novità del cinema italiano.