È uno dei pochi in Italia a fare orgogliosamente cinema horror e qui ci spiega perché. E già che c’eravamo gli abbiamo chiesto cosa lega la sua carriera di regista a quella di musicista (Tiromancino vi dice qualcosa?). Con il suo nuovo film horror, The Well (in streaming da oggi sulle principali piattaforme), la vicenda di una restauratrice ingaggiata da una donna molto facoltosa per riportare alla luce un antico quadro nel suo palazzo, Federico Zampaglione affronta un viaggio inquietante e violento agli antipodi con la musica dei suoi Tiromancino. Tanto che è arrivato anche il divieto ai minori di 18 anni, una garanzia per gli appassionati del genere. Lo abbiamo incontrato per parlare del suo cinema e del contatto tra le sue due carriere. È un artista poliedrico a cui piace stupirsi e, partendo dal suo cinema, si è aperto riflettendo tanto sul suo film spietato quanto sulla sua famiglia allargata. La sua ex-compagna Claudia Gerini e sua figlia Linda Zampaglione sono state per la prima volta insieme su un set, rivelando collegamenti inediti tra l’amore per le fiabe nerissime e la musica, che in fondo riesce a legare sempre tutto.
Vieni definito un regista horror ma non hai girato film solo di quel genere. Non lo era Nero Bifamiliare, ma neanche Morrison. Sei un regista che sta facendo un suo percorso attraverso i generi.
Sì, anche se devo dirti che alla fine mi sento davvero nel mio quando faccio horror. Mi piace fare cose cupe, dark, dove posso utilizzare un altro approccio, mi danno una marcia in più perché fondamentalmente mi diverto molto di più a lavorare su questi temi.
Il tuo The Well è un horror che si rifà alla Casa delle finestre che ridono di Avati. Ma io ci ho visto anche Cabin Fever di Eli Roth e addirittura un pizzico di Ghostbusters 2 per via del quadro che viene restaurato.
Guardo tantissimi film, quindi le ispirazioni arrivano sia dal passato che dal presente. Sono uno spettatore appassionato e gran parte dei film sono cinema di genere. Devo essere sincero, non sono un grande amante dei drammi all’italiana, perché li sento lontani da me: certo, ho amato alcune commedie, ma il mio cuore batte horror. Sin da ragazzino ho seguito questo genere e sto lavorando su un mio stile sempre più personale dove dentro puoi trovare elementi che si ispirano al grande cinema dark del passato, non solo italiano. In The Well, ad esempio, ci sono elementi classici che si rifanno al gotico e componenti oscure, violente e disturbanti che fanno riferimento più a un linguaggio contemporaneo.
Senza spoilerare, penso che nel tuo film ci sia un importante riferimento all’edonismo e al narcisismo di oggi.
Certo, c’è una critica al potere, una critica al denaro a tutti i costi. Provo a sondare quanto essere così assetati di potere e ricchezza renda più mostri dei mostri. Questa è la metafora dietro il film. È il mio messaggio riguardo alla ricerca disperata di edonismo di una bellezza fine a se stessa, masturbatoria. Anche in Shadows c’era una critica, in quel caso diretta alla guerra e ai suoi orrori. In tanti momenti l’horror ha rappresentato uno specchio per la società raccontando le brutture del mondo che ci circonda. Anche a me piace usare l’horror come metafora della vita. Ma la verità è che la vita è diventata molto più horror dell’horror. I fatti di cronaca che leggiamo oggi sono talmente efferati e crudeli che se li inserissi in una sceneggiatura nessuno vorrebbe produrla.
Oramai possiamo definire Claudia Gerini la tua attrice feticcio. Al suo fianco stavolta c’è Lauren LaVera, che ricorda straordinariamente la Jessica Harper di Suspiria. E poi c’è tua figlia, per la prima volta sullo schermo.
Con Claudia c’è affiatamento perché abbiamo fatto tre film insieme. Lei conosce il genere e di conseguenza si sa muovere bene in questo contesto. Lauren invece è un’attrice americana molto talentuosa, emersa con Terrifier 2 e adesso farà anche il 3. Ha un viso particolarmente ingenuo e delicato. Sembra fatto apposta per questo genere, con quegli occhioni da cui viene fuori il terrore puro. Con mia figlia Linda avevamo fatto insieme alcuni cortometraggi in pandemia: mi ero già accorto che era molto sveglia, il cinema l’aveva nel Dna. Però il rapporto sul set è stato molto equilibrato con tutti gli attori. Con Linda mi sono comportato da regista con un’attrice. Poi dopo le riprese tornavamo a essere padre e figlia.
Rispetto agli altri generi, cosa ti piace di più dell’horror come strumento per raccontare storie?
È qualcosa che fa parte dell’animo umano. In tutti noi c’è la paura. Il terrore di entrare in contatto con qualcosa che ti spaventa. L’horror raccoglie emozioni forti anche lontane, nascoste, che uno si porta dietro fin da ragazzino. Così, puntando su paure recondite, angosce, profondità insondabili, anche senza troppe parole con l’horror puoi catapultare lo spettatore direttamente in quel territorio.
E qual è la tua peggiore paura, cosa ti terrorizza di più?
Ne accennavo prima. Ciò che mi terrorizza veramente è proprio la realtà. Le notizie di cronaca, la follia dilagante tra le persone, soprattutto all’interno dei nuclei familiari. Essendo padre di una ragazzina di 15 anni ovviamente mi spaventa quello che leggo tutti i giorni. A volte non ci dormo. La fantasia, i mostri, non sono niente rispetto a questo.
Tu che ci stai dentro, cosa trovi ci sia in comune tra queste due cose così diverse e distanti, la tua musica e l’horror?
Sicuramente la passione che ci metto e soprattutto la capacità di creare un’atmosfera. Credo che questa sia proprio la cosa che mi riesce meglio. Quando scrivo musica mi piace tessere un’atmosfera che fa entrare subito l’ascoltatore in un mondo. Già prima d’iniziare a cantare creo quel tipo d’atmosfera: pensa al pianoforte di Per me è importante o la partenza dei violini di Due destini. Ecco, da lì inizia un ambiente sonoro dove ti lascio entrare senza farti uscire. Il semplice ritornello da cantare non m’interessa. Lo stesso vale per il cinema. Mi piace far entrare lo spettatore, e una volta dentro si deve fare tutto il viaggio fino alla fine.
Da musicista e da regista, come si svolge il lavoro per le colonne sonore?
Spesso non le compongo io o comunque non interamente. Intanto devi trovare musicisti con i quali avere sintonia perché dovranno sviluppare le tue indicazioni. Ad esempio puoi chiedere qualcosa d’inquietante, ma con richiami all’esoterico o alla stregoneria. Immediatamente nella testa del musicista si affacciano strumenti, cori e sonorità che possono dare un suono a queste parole. Sai, per passare da un’atmosfera malinconica a una tesa basta una nota: se cambi quella nota cambia tutto. Spesso giro sul set con la musica già composta, soprattutto nelle scene senza dialoghi, e l’attore ci si accorda subito sopra come fosse uno strumento. Questo vale anche per la troupe. Tutti lavorano in maniera facilitata all’interno di un’atmosfera ben precisa perché riescono ad accordarsi insieme sulla “temperatura” che volevo raggiungere.
L’horror americano ultimamente ha preso la strada del disagio estraniante con autori come Ari Aster. Qual è invece secondo te la direzione dell’horror italiano?
Intanto bisogna dire che nel cinema italiano non si vedono molti horror. Non ne esce quasi mai nessuno. Non abbiamo vere correnti, ma sprazzi, casi isolati perché l’industria predilige il prodotto americano e internazionale. Vale anche per action, fantascienza e cartoni animati. In questo invece io mi sento molto libero da caste, salotti e premi. Se faccio horror il mio dovere è quello di spaventare, terrorizzare, scioccare, disturbare. È il dovere di un bravo regista horror.
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