Diciannove anni, Leonardo ha le idee ancora poco chiare sul futuro. Studia lettere, ma dalla Sicilia a Londra e poi Siena sembra si areni tra i suoi libri d’epoca, un rapporto difficile con le aspettative materne, con i professori e le sessioni d’esame. In più la vita da fuorisede gli gira intorno come una trottola che lui schiva nella sua camera in affitto, comfort zone dove si rintana insieme alle sue pulsioni.
Diciannove è il lungometraggio d’esordio alla regia di Giovanni Tortorici, talento del 1996 scoperto da Luca Guadagnino, che lo ha prodotto insieme a Malcolm Pagani tra Italia e Inghilterra. Scheggia di coming of age e motore di una diaspora generazionale, indispone e fa tenerezza questo ragazzotto educato e saccente che perde treni e cova aspirazioni ancora incerte, così sicuro di sé riguardo alla letteratura tanto da mettersi frontalmente contro i docenti, ma allo stesso tempo perso in mondi che assaggia sfuggente dai baci di ragazze conosciute in disco. Si percepisce da ogni fotogramma il senso di spaesamento di quell’anno precedente i venti, che si scontra con le inflessibilità professorali e i problemi d’incomunicabilità. E Manfredi Marini veste il personaggio donando a questo film la giusta forza fragile di quell’età.
È in concorso nella sezione Orizzonti della Mostra del Cinema di Venezia 81 Diciannove. La sceneggiatura saltella capricciosa e provocatoria insieme alle indecisioni e gli svarioni di Leonardo. A volte le sue vicissitudini ricordano certe atmosfere da Nouvelle Vague, forse meta agognata nella chiusura irrisolta, in certe andature narrative montate a schiaffo. Una svogliatezza formale che può esser letta in vari modi.
Le inquadrature di Tortorici sembrano incantarsi su dettagli di cielo, vicoli e contrade. Come un continuo prender e perder tempo che rappresenta in piena soggettiva quel numero dell’anima. Tempi apparentemente morti che danno respiro alla formazione del protagonista. Poi sprazzi ironici, incontri che impennano su discorsi surreali alla Tutti giù per terra di Davide Ferrario. Gli scontri intellettuali sulle sue visioni letterarie, il rifiuto rivoluzionario di ammirare certi grandi lo fanno apparire comunque un pulcino mordace in un mondo millenario come Siena che mastica da sempre storia e persone. Sta qui la tenerezza per questo personaggio così fresco e acerbo che ci presenta Tortorici. Ma abbiamo anche tante, troppe sospensioni sui vari piani narrativi, mai realmente chiusi e spesso inseriti senza nessi. Insomma, si pasticcia un po’. Come nella vita scombussolata di un diciannovenne, del resto.