Margherita Premuroso vive a Milano e lavora nell’animazione dal 2005, è creative director a elastic.tv e nel 2017 è stata nominata agli Emmy Awards per le sequenze animate dei titoli di coda della serie Feud: Bette and Joan (Ryan Murphy). Nel suo ultimo cortometraggio, Ecce, racconta attraverso migliaia di disegni realizzati a matita un viaggio alla Escher: la giornata qualunque di una donna che rivive ogni giorno lo stesso compito dal quale non riesce a districarsi.
Parlami di come la tua passione si è estesa dall’illustrazione all’animazione.
Nell’immagine statica mi sentivo ingabbiata. Senza togliere nulla all’illustrazione, volevo che le immagini che descrivevo col tratto si muovessero nel tempo, raccontando storie o anche semplicemente azioni. Inoltre, credo che un film d’animazione sia un raffinato contenitore di più arti: disegno, sceneggiatura, musica, voce.
Nei tuoi lavori si possono rintracciare infatti diverse forme d’arte e tecniche espressive, anche miste. Cosa ti muove?
Mi piace sperimentare tecniche diverse, tentare nuove strade per raccontare una storia o far passare un messaggio. Non voglio soffermarmi sullo stile o darmi etichette, né farmi chiudere in una particolare tecnica o tratto, per cui provo tutto e ogni volta mi rimetto in gioco. Quella che rimane costante è la passione, il resto poi viene da sé. In generale, credo di farmi molto influenzare da quello che vedo e scelgo di vedere in un determinato periodo. Ad esempio, nell’ultimo anno, mi sono appassionata alla stop motion e ho deciso di realizzare un cortometraggio con questa tecnica – che conosco poco – per cui sto facendo molta ricerca. Cerco di capire come lavorano gli altri, il loro workflow, le lenti, i materiali, gli strumenti, i segreti. Mi impegno finché non ne esce qualcosa di mio, è come una scuola per me.
Nelle tue opere è rintracciabile un grande amore per l’espressionismo di Egon Schiele. Hai dei punti di riferimento anche nell’animazione e nella regia?
Si, Schiele è stato tra i miei riferimenti artistici insieme a Käthe Kollwitz, Alberto Giacometti e Basquiat, negli anni li ho copiati e ricopiati fino a farmeli “rimanere tra le falangi”. Quando si è adolescenti si è più inclini all’ammirazione, oggi non ho dei veri e propri miti ai quali ispirarmi. Però, se posso citare degli artisti nell’animazione che stimo molto, direi Sylvain Chomet (Appuntamento a Belleville, L’illusionista), Katsuhiro Otomo (Akira), Hayao Miyazaki (La città incantata, Il mio vicino Totoro). Trovo tanta ispirazione anche nei fumetti, amo soprattutto quelli francesi: Cyril Pedrosa, Bastien Vivès, Manu Larcenet. Mentre tra gli italiani mi piacciono Gipi e Manuele Fior.
Solitamente quale fase del tuo lavoro prediligi?
Secondo me la pre-produzione è la fase più delicata ma anche la più divertente. Mi piace disegnare personaggi e storyboard, dare tempi di narrazione, ritmo, soffermarmi sui dettagli. È lo step in cui si impostano le radici di tutto: dedico molta cura a questo momento e voglio che sia il più definito possibile, in modo da non perdere tempo dopo a dover rifare in parte il lavoro.
Sei creative director di elastic.tv, che ha firmato con il suo team di animazione alcuni opening iconici della serialità contemporanea, come quello di Game of Thrones. Com’è il tuo ambiente di lavoro e cosa consigli ai giovani professionisti che cercano di farsi strada in questo campo?
Lavoro con elastic.tv da diversi anni e per me è ormai una grande famiglia. È uno studio grande e direi anche potente, in America, ma è composto da persone con un fortissimo senso etico, attente nel valorizzare i collaboratori. Ho lavorato in altri studi e vedevo freelance andare e venire, li incrociavo quattro o cinque giorni e poi sparivano e ne arrivavano altri; questo modo di lavorare non permette che si crei un nucleo, mentre serve un team molto solido. In Elastic invece la maggior parte di noi rimane anni. Si sono fidati fin dall’inizio di me, che stavo dall’altra parte del mondo e attraversavo una fase molto delicata della mia vita, e non era scontato. Ai giovani consiglio di sperimentare e credere nelle proprie passioni, di tentare – almeno all’inizio – con studi piccoli, dove si è più seguiti. Sembra banale ma è così. Suggerisco a tutti i creativi di non dimenticare, finito il lavoro, di portare avanti i progetti personali, di non fermarsi al cliente o al datore di lavoro ma di portare avanti un proprio discorso. Non siate pigri.
Per le sequenze animate dei titoli di coda della serie Feud: Bette and Joan sei stata nominata agli Emmy Award, nella categoria Outstanding main title design.
È stato il mio primo grande progetto per i titoli di coda. La nomination agli Emmy era completamente inaspettata, partecipare poi alla serata di premiazione è stato stupefacente.
Il tuo ultimo cortometraggio, Ecce (2022), è realizzato a mano con matita su carta, ma non solo. Quale tipo di lavorazione richiede questa tecnica?
È stato un lavoro molto impegnativo dal punto di vista tecnico, parliamo di migliaia e migliaia di disegni a matita. La mia compagna mi ha aiutata sia nella produzione che nella recitazione. Ogni scena è stata ripresa live, stampata frame per frame su carta fotocopiatrice e poi ricolorata a mano sempre frame by frame, scansionata e ritagliata al computer. Ecce ci ha coinvolte per circa due anni: una vera una scuola, che mi ha consentito di raffinare la tecnica e velocizzare alcune fasi.
La musica sembra avere molta importanza nelle tue opere.
Preferisco sempre appoggiarmi alla musica e farmi suggestionare. Purtroppo non è stato così per Ecce, che è stato sonorizzato in un secondo momento da un bravissimo compositore: Paolo Fornasier, con la voce di Mila Trani.
Da MOM a Paper Plane a Ecce sono passati un po’ di anni, ma un filo rosso sembra legare i tuoi lavori. Le figure che emergono dalle tue opere seguono la regola eroica di Pavese: essere soli.
Sicuramente la solitudine è un tema che sento molto. Mi piace ascoltarmi, sentirmi e capire cosa mi piace e cosa no, e questo lo posso fare soprattutto nel silenzio. Credo che riuscire a stare soli sia il più grande passo per sentirsi liberi. Spesso nelle relazioni giochiamo con l’ambiguità, fra detto e non detto, perché abbiamo paura di perdere il legame con l’altra persona, di rimanere soli. Credo invece che solo allontanando la paura della solitudine possiamo diventare autentici e creare legami trasparenti con l’altro.
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