Accamòra, un’estate dolceamara

Accamora Emanuela Muzzupappa
Emanuela Muzzupappa ritira il premio per "Accamora" al Cinelido.

C’è un’immagine ne La ricerca del tempo perduto di Proust: lo scrittore, seduto in treno, cerca di rincorrere il tramonto, senza riuscire però mai a raggiungerlo. Appena pensa di poterlo vedere bene da vicino, il treno avanza e il sole sembra spostarsi. C’è qualcosa di proustiano nelle immagini ruvide e melanconiche di Accamòra (In questo momento), il cortometraggio della giovanissima Emanuela Muzzupappa presentato in concorso alla prima edizione del Cinelido, festival dedicato ai cortometraggi fondato da Giulio Mastromauro, Andrea Cicini e Alberto De Angelis e organizzato da Zen Movie al Porto Turistico di Roma. Al Cinelido Accamòra ha vinto il premio per il miglior attore andato ai due protagonisti, Carmelo Macrì e Giovanni Spanò.

Con diverse metafore, come il rito estivo della raccolta dei fichi (contemporaneamente faticoso e dolce) o l’aneddoto dell’arcobaleno e dei bossoli dei proiettili del fucile (un gioco innocente dell’infanzia legato però a qualcosa, come i bossoli, che è concettualmente opposto alla purezza infantile), Emanuela Muzzupappa affronta con semplicità un concetto profondo come quello dell’ineluttabilità del tempo, dandogli un sapore familiare.

Come nasce Accamòra?

Accamòra nasce in un momento difficile della mia vita e infatti conserva qualcosa di molto autobiografico. In quel periodo, io e tutta la mia famiglia temevamo che il terreno che aveva sempre fatto da sfondo alla mia infanzia, potesse essere venduto; inoltre, per una serie di vicissitudini, da Roma sono dovuta ritornare a vivere in Calabria. Mi sono sentita mancare la terra sotto i piedi, sia metaforicamente che letteralmente. Accamòra racchiude quei sentimenti di estrema paura e perdita di ogni certezza, assieme a quel sapore dolce e amaro che il passaggio dall’infanzia all’età adulta porta con sé e che la perdita di quel terreno, che conservava tutti i miei ricordi da bambina, ha esemplificato.

Accamora
I due protagonisti di “Accamora”, Carmelo Macrì e Giovanni Spanò.

Sia a livello di dialoghi che di regia, si ha la sensazione di giocare con un non detto, cosa volevi enfatizzare?

È una scelta stilistica con la quale volevo far sentire lo spettatore che qualcosa che non va. Il non detto, inoltre, è anche il riflesso del mio dolore e di come, in quel momento, ho vissuto i rapporti familiari, il tentativo degli adulti di trattenere informazioni al fine di proteggere l’altro. Così ho “puntellato” il corto con gli sguardi del fratello maggiore che dissimulano, ma ci segnalano anche la presenza di qualcosa da cui però siamo ancora esclusi. 

Già dal titolo fai riferimento a un “qui ed ora”: che ruolo ha il tempo all’interno del tuo racconto?

Nel corso del film il protagonista vive costantemente dei momenti che non fanno che finire e il rito della raccolta dei fichi è rappresentativo di tutto questo, proprio perché ha un inizio e una fine. Un’idea che arriva al culmine quando il ragazzo ritrova i cimeli d’infanzia che sono anche visivamente sepolti da un telo e che rappresentano un momento che ha già avuto fine. La parola “accamòra” vuole rappresentare perciò proprio l’incedere molto lento di un tempo che finisce e ricomincia continuamente, che sembra mettere un punto, ma poi riparte.

È per questo che hai scelto un finale aperto?

Sì, da un lato il finale aperto mi serviva perché proprio lo scorrere del tempo non può essere descritto come qualcosa che ha una fine, dall’altro lato volevo enfatizzare, anche con lo sguardo e la domanda senza risposta del giovane protagonista, quella sensazione di  dolore e insieme dolcezza che porta con sé la consapevolezza. Il finale aperto rendeva questo binomio tra la bellezza e la malinconia, come quando si pensa a un ricordo passato e sei felice perché il ricordo è bello, ma al contempo triste perché non c’è più. Anche ciò che releghiamo alla quotidianità avviene in quel preciso attimo: inizia, ma è destinato a una fine e se ciò per un verso ci “toglie la terra sotto i piedi”, per un altro ci fa capire l’importanza di ogni singolo momento.