Siamo a metà concerto forse un po’ oltre, sul palco semi buio gli strumenti continuano a suonare prima che le luci si offuschino ulteriormente. La voce di Mauri, il cantante degli Ex-Otago, compare d’un tratto dalla diffusione, ma proviene da qualche altra parte, lontana dal palco. Il bancone del bar è quasi vuoto, una ragazza confusa aspetta la sua birra mentre un energumeno della sicurezza le si posiziona dietro. Mauri con un balzo si siede proprio sul bancone, con le gambe penzolanti, guardando la folla dalla sinistra, in fondo al locale; al suo fianco compare Simmi, il chitarrista a fargli da spalla. “Molto più fico stare qui che là sopra” dice indicando il palco, mentre cerca di attirare l’attenzione di tutti, note leggere suonano sotto la sua voce che scandisce l’intro di una delle canzoni più sentite, leggera nella sua semplicità, profonda nei suoi significati. Le parole di Costa Rica riecheggiano tra gli smartphone e gli occhi chiusi nell’atto di canticchiare, una canzone che parla di Italia, sì ma vista da lontano, dai tropici di un paese dal fascino intramontabile, raccontata dalle parole di un genovese.
Forse per noi romani è un po’ più difficile capirlo, quel rapporto con il mare sempre presente nei testi della band, quella sensazione costante di sabbia e neve, terra e cielo, figli di una città antica che combatte con la modernità, incastonata a metà tra il porto e tutte quelle montagne, che gli stanno così bene. Le note di Costa Rica vibrano ad altezza uomo, nel calore familiare di un concerto appagante, nei sogni marini di un gruppo che vive senza impegno questa coinvolgente esperienza musicale, un’avventura di lungo corso, nata agli albori del nuovo millennio, ma che trova la sua consacrazione solo negli ultimi anni, con l’album Marassi prima e con il recentissimo Corochinato poi. Un gruppo di genovesi legati alla loro città ed alle loro vite compassate che non barattano tanto facilmente con la celebrità, come la cascina in Val Borbera dove il cantante vive insieme alla fidanzata e dove sono nati gli album della loro vita, tra la produzione di vino locale e la riscoperta della terra.
Una semplicità ed una leggerezza esistenziale che si rispecchia nei loro testi, nelle corde emozionali che vanno a raggiungere, a stuzzicare, nei loro excursus alcolici, romantici, bambineschi. Ragazzi che viaggiano verso i quaranta, a caccia di una maturità tardiva, ritardataria, ma serena, pacata, da affrontare senza i traumi di questa società accelerata e forse scellerata. Come la domanda di tutta una vita, Cosa fai questa notte?, che inaugura come traccia d’apertura la serata, perché è tutto lì, nei pochi attimi prima del buio, quando c’è una luce che fa bene al panorama, nella scelta di trascorrere l’acquietarsi del giorno con qualcuno, poi di tutto il resto chi se ne fotte, a sostenersi dentro una supplica d’amore scandita da quel resta con me, anche se è una vita che usciamo insieme.
Gli Ex-Otago sono così, romantici sempre, ma mai banali, sono pop certamente ma con un’identità invidiabile, quel tipo di identità che da sempre ha affascinato i poeti, gli scrittori, i canzonieri di ogni epoca, quell’identità che abbiamo sognato nei marinai, nei pirati, negli aviatori, negli scalatori, nei viaggiatori che si portano dietro un legame con le proprie origini, dalle quali non si scappa, dei Conti di Montecristo senza necessità di vendetta, degli Ulisse sempre in procinto di tornare a casa, nella loro terra, perché alla fine della corsa non c’è solo Penelope, ma Itaca.
I ragazzi che compongono il pubblico dell’Atlantico di Roma, in questa fredda serata primaverile, sono più giovani degli Ex-Otago, li hanno scoperti solo ora, lo confessano quando dal palco chiedono per quanti sia la prima volta, sono tante le mani che si alzano, sorprendendo anche i componenti della band, sono tante mani giovani che li scoprono live, mani che forse guardano con un po’ di invida a quei ragazzi cresciuti, che cantano con orgoglio che in discoteca non ci vanno più, di chi ha ormai le spalle abbastanza larghe e l’età giusta per preferire una nottata in camera invece delle strobo, la techno e la vodka, di chi vive la sua età e i suoi amori con consapevolezza e senza rimorsi, guardando al passato con un sorriso senza perdere quel ritmo, quel beat vitale che continua a sostenerli, che continua a dare il passo ad ognuno di quei ragazzi di quartiere che oggi ballano sui palchi di tutta Italia.
E ballano anche tra gli applausi di Roma, offrendo un concerto snello, fresco, che scivola via con delicato entusiasmo e smussata irriverenza, e tra le belle versioni de Gli occhi della luna, Stai tranquillo e la splendida Quando sono con te, gli Ex-Otago trovano anche il tempo di omaggiare il più grande genovese del Novecento, cantando Amore che vieni, amore che vai, uno degli innumerevoli capolavori di De Andrè, riarrangiata secondo le sonorità proprie della band, così devota alla città ed alla musica tricolore. Lo spettacolo giunge alla fine con un preventivatile bis ad alto grado di coinvolgimento, con Solo una canzone, Ci vuole molto coraggio e Cinghiali incazzati la band ringrazia e si congeda, chiudendo una serata come una foto ricordo che non si è vissuta, una storia allegra con un finale aperto, un pinocchio appeso in una Fiat Punto, un bosco ligure in pieno centro Italia.