Bismillah: Alessandro Grande e il mondo salvato dai ragazzini

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Negli ultimi anni, il cinema italiano, alla ricerca di un nuovo sguardo, ha riflettuto sui rapporti determinatisi dal fenomeno migratorio e dalla contiguità delle diversità culturali, tra processi di integrazione e marginalizzazione, all’interno di un paesaggio in continuo mutamento. Vincitore del Miglior Cortometraggio ai David di Donatello 2018, con Bismillah Alessandro Grande ha deciso di lasciare fuori campo le immagini che popolano il nostro quotidiano, molto spesso strumentalizzate in chiave politica, concentrandosi invece su una storia intima e privata.

«Più che l’immigrazione, che rimane una cornice, il mio intento era quello di evidenziare l’aspetto umano e sentimentale dei personaggi» spiega il regista, originario di Catanzaro ma ormai trapiantato a Roma, che nella sua carriera decennale ha ottenuto numerosi premi nei festival di tutto il mondo, 78 complessivi, e una nomination ai Nastri d’Argento con il corto precedente Margherita (2013).

Prodotto dal regista insieme alla Indaco Film di Luca Marino, con il supporto di RAI Cinema, Calabria Film Commission e Comune di Catanzaro, Bismillah mette in scena il coraggio e la determinazione di Samira, una bambina tunisina di dieci anni che vive in Italia in clandestinità, con il padre e il fratello diciassettenne, ma anche la sua paura e insicurezza nell’affrontare una situazione drammatica che potrebbe significare l’espulsione dal paese.

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«Nei miei lavori precedenti (In My Prison e Margherita) ho sempre affrontato forti tematiche sociali. L’idea per Bismillah è nata dopo aver letto che nel 2011 l’Italia ha registrato il maggior numero di immigrati tunisini nella sua storia, circa 23 mila persone che scappavano durante la Primavera Araba, la cui metà viveva in clandestinità nel nostro paese» prosegue il regista. Evitando le ipocrisie così come le facili retoriche, il cortometraggio vuole «evidenziare l’aspetto umano e sentimentale dei personaggi, come l’amore di Samira nei confronti del fratello e le grandi responsabilità che la bambina dovrà affrontare». Sfruttando al massimo la forma breve e concentrando la narrazione in pochissimi minuti, Bismillah mette lo spettatore di fronte a una realtà nuda e cruda. La macchina da presa si sofferma sul volto della piccola protagonista, cercando di coglierne le emozioni, i dubbi e i conflitti, e di entrare nel suo animo attraverso una giusta distanza.

Lontana dall’estrosità del virtuosismo e dalla pura ricerca estetica, la regia vive tutta «in funzione del personaggio». Sulla scelta di raccontare questa storia attraverso gli occhi di una bambina il regista precisa: «Mi sembrava giusto che un insegnamento così ottimista e forte potesse venire da una bambina che deve caricarsi sulle spalle un peso più grande di lei, prendendo una decisione che sarebbe spettata a un adulto. Inoltre, credo che la rappresentazione dei caratteri dell’infanzia e dell’adolescenza faccia parte della mia sensibilità».

La giovane protagonista Linda Mresy è stata scelta tra moltissime candidate. «Mi sono subito innamorato degli occhi di Linda, della sua espressività e della sua determinazione. È stata infatti l’unica bambina ad avermi chiesto, durante i provini, consigli sull’interpretazione o su come si pronunciasse correttamente una frase. Questo vuol dire che hai grande voglia di apprendere, di imparare, senza aver paura di confrontarti con una persona più grande di te, come in questo caso il regista. Per una bambina di dieci anni alla primissima esperienza davanti alla macchina da presa è  sinonimo di coraggio, un aspetto che volevo che il personaggio di Samira trasmettesse».

Bismillah

Affrontando un tema universale come quello della fratellanza, il cortometraggio vuole essere un “canto di speranza” come la preghiera che intona Samira, a partire proprio dalla parola “bismillah”, un termine arabo che significa “in nome di Dio”, un brano che cantano i genitori ai bambini prima di andare a dormire, sia come ninna nanna sia per avvicinarli alla fede. «Ho voluto inserire un elemento che fa parte della cultura e dell’intimità dei personaggi, un elemento che potesse rappresentare un loro aspetto profondo e sincero» chiarisce Alessandro Grande.

Dopo aver ricevuto il riconoscimento cinematografico più importante del nostro paese, assegnato dall’Accademia del Cinema Italiano, Bismillah prosegue il proprio cammino nei più importanti festival internazionali. Dopo la première mondiale al prestigioso Toronto International Film Festival ‒ Kids, tra i festival di settore legati ai ragazzi più importanti al mondo insieme al Giffoni, dove è stato inserito nella selezione ufficiale e nel programma Educational, il cortometraggio è tra gli otto finalisti del 35° Bu Film Festival, in programma a Malmö, in Svezia, e nella selezione ufficiale del Busan International Film Festival, in Corea del Sud.

«Inizialmente, come sempre, mi sono dovuto rimboccare le maniche» ricorda il regista «quando si è soli, e si ha davanti un foglio bianco, tutto deve partire da te e allora scrivi. Poi, nel momento in cui hai scritto, devi rimboccarti nuovamente le maniche e cercare di portare avanti quello che hai scritto con tutte le tue forze. Infine, se il prodotto è valido andrà avanti con le proprie gambe». Adesso, dopo aver superato le difficoltà di trovare contributi e finanziamenti, Bismillah spicca il volo oltre i confini nazionali sperando di entrare in corsa per gli Oscar 2019.