Coma_Cose: quando c’è voglia di cantare in italiano

coma_cose

Sono nell’area antecedente al club dove bar, divani e piante fanno da ingresso alla sala. Il concerto è finito da una ventina di minuti abbondanti. Ho una birra in mano mentre parlo con un dj di zona e un’account manager: discutiamo del secondo tragico Calcutta, di Vasco Brondi e del duo che abbiamo appena ascoltato. Si parla di nuovi linguaggi, di evoluzione dei testi, di musica che ritorna e canzoni non all’altezza. Ma soprattutto notiamo una cosa che ci fa un gran bene al cuore: c’è voglia di Italia, c’è voglia di cantare in italiano. Questa nuova ondata “indie”, questo nuovo filone di cantanti, gruppi, progetti e featuring ci sta restituendo un piacere quasi antico, quello di cantare nella nostra lingua madre, di sentire, comprendere, vivere ogni parola strillata al vento.

Come in un buco spazio temporale, al quale erano sopravvissuti indenni solo Cesare Cremonini e pochi altri, siamo riemersi dallo tsunami del Brit Pop, del Punk Americano, dell’Indie Rock e giù a discorrere ogni inclinazione possibile. Li abbiamo amati certo, abbiamo studiato l’inglese per loro, abbiamo cantato i loro modi dire e le loro città, ma poi ci sono mancate le nostre. Che ritornano prepotenti. Che si insinuano nelle nostre cuffie. Che fioriscono nelle nostre città. Come funghi. Come lumache dopo la pioggia. Come risvegliarsi da un coma e ritrovare un sacco di cose. Come i Coma_Cose, forse l’ultimo meraviglioso regalo di questo filone “indie” nostrano.

coma_cose

Due ragazzi, uno ha la barba e il cappellino, l’altra ha labbra morbide, sorriso largo e nuca bionda. Indossano dei giacchetti da metalmeccanici e salgono sul piccolo palco del Lanificio saltellando pieni di carica. Si annunciano con un «Coma_Cose nella casa», che già vuol dire molto, niente «in the house» e niente «Yo», c’è un’anima italiana, che diventa presto una «Anima Lattina», in uno dei pezzi che già spiccano nel loro ristretto campionario. Ed è anche uno dei numerosi riferimenti alla musica cantautoriale italiana che per anni ci è sembrata così distante e inaccessibile. E dopo Battisti la ritroviamo anche quando chiamano in causa Celentano, oppure con la «dolce venere di rime» che ci riporta a De Gregori che, nonostante tutto, è ancora il loro «artista rap preferito».

Le canzoni sono poche, sono giovani e sono fresche come il panorama di cannucce nei bicchieri di plastica. Le canzoni sono poche ma già le conoscono tutti, qualche centinaio di persone che invece di giocherellare con l’ombrellino da cocktail in un tavolino all’aperto hanno preferito venire, in questo sabato di quasi estate, nel caldo di un club compatto e accogliente. Per ascoltare loro, i Coma_Cose, una delle più belle sorprese di questa spumeggiante scena italiana. Fanno parte della scia, ma non assomigliano a nessuno, ammucchiano e si ammucchiano dentro generi e sinfonie, mischiano parole come fossero giocattoli e ci regalano un linguaggio nuovo che ci raggiunge, ci trasforma e ci emoziona ancora una volta.

coma_cose

Accompagnati da una batteria che si adombra sullo sfondo, Fausto ha il cappellino sulla fronte e fa avanti e indietro sul palco tipo riscaldamento a bordo campo, Francesca agita braccia e testa dorata con movenze alla Eminem d’annata. Un’insegna con una S ed una A sovrasta il centro palco e ci ricorda quel gioiello tutto romano che è lo Spring Attitude degli amici di L-Ektrica, che gentilmente ci regala un’altra serata come questa.

La folla agita le braccia a tempo di musica, i ragazzi sul palco alternano ritmi rap a strofe melodiche, sforzi da romanticismo post-impero e sfogo sociale, senza moralismi, senza sofisticazioni, una Milano già bevuta, una serie di giochi di parole intelligenti senza essere pretenziosi, acrobazie divertenti, tanta Italia in salsa internazionale. E non importa se le canzoni sono veramente poche e si esauriscono prima di esserne soddisfatti, anche loro sul palco ne sembrano dispiaciuti, ma quasi scusandosi ci dicono «abbiamo solo queste, però facciamo ancora qualche altra roba», un breve intervallo con la cover di “Cani Sciolti” dei gloriosi Sangue Misto e poi qualche canzone da ripetere.

coma_cose

«Post-Concerto» funge già da grande classico di repertorio nonostante abbia appena pochi mesi di vita: tutti ripetono le strofe come un mantra fatto di novità e sorrisi stupiti, per quella pioggia transitiva che ci «temporala», o per la splendida immagine di una «Sarajevo sulle tapparelle che il sole mitraglia di luce», flash mnemonico che nella mente accomuna le camere da letto di qualunque generazione. Fino alle dichiarazioni d’amore di due figli dell’epoca nuova, qualcosa di immaginifico e poetico come «la mia ragazza è bella come David Bowie» per arrivare alla voglia di occupare, e di andare a dormire col cane nella testa dell’altro, come in un gigantesco centro sociale.

Un ragazzo dell’organizzazione dell’evento mi confessa la sua soddisfazione, ma soprattutto la sua felicità nel riconoscere sui volti dei Coma_Cose uno stupore sincero, appassionato, quando vedono così tanti romani cantare a memoria le loro canzoni, una sensazione che gli ricorda il primo Cosmo, passato anche lui tra le sapienti mani dello Spring Attitude qualche anno fa. Non possiamo che augurare ai ragazzi di Milano lo stesso successo del piemontese, e ringraziamo questa nuova Italia musicale, giovane e piena di vita. Che viene da anni di niente, ma vuole tutto. Come i Coma_Cose dal Giambellino.

coma_cose

Le fotografie sono una gentile concessione di Fabio Germinario e di Spring Attitude.